Tasse e grane legali: quando il blogger finisce nel mirino

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Imbavagliati in Italia, inseguiti fisicamente da una task force in California, tassati a Philadelphia e puniti se accettano regali da aziende. La dura vita dei blogger in tutto il mondo

di Eva Perasso

I politici americani e i grandi anchormen li hanno definiti con tono dispregiativo “i ragazzi che scrivono in pigiama”, per differenziarli dai giornalisti. Le grandi aziende hanno inseguito le loro pubblicazioni per dar loro multe salate, attraverso apposite società di recupero crediti. Le pubbliche amministrazioni hanno creato task force per inseguirli, anche fisicamente; e li hanno pure mandati pubblicamente a quel paese, grandi Ceo di grandi società internet. Per ultimo, almeno in ordine cronologico, hanno anche provato a tassarli. Le stranezze dei trattamenti riservati ai blogger sono sempre di più e partono a sorpresa non solo da aziende e singoli che si accusano tra loro, ma anche dai governi.

Accade a Philadelphia
che il Comune in cerca di fondi decida che tenere un blog sia attività commerciale. Questo anche se il blogger in questione non ha alcun fine economico tra i suoi intenti, e pensa solo a fare qualche dollaro attraverso il programma di pubblicità AdSense di Google. La norma prevede che all’atto di apertura di un blog si debbano versare 300 dollari una tantum per poter operare “tutta la vita”, o 50 dollari l’anno, da versare per quella che viene definita una “business privilege licence”. È così che anche un blog come Ms Philly Organic, che non ha mai fatturato più di 50 dollari dalla sua apertura, e racconta solo come vivere con coscienza ambientale nella città di Philadelphia, si ritrova obbligato a versare la somma richiesta, come se Marilyn Bess, la free lance che lo gestisce, avesse costruito un’impresa intorno alla sua attività online.

Sempre meglio versare 300 euro che non venire inseguiti da società specializzate in recupero crediti, come accade ad alcuni utenti e blogger che pubblicano materiali da “riproduzione riservata”. Nasce infatti negli Stati Uniti un mercato di società che si occupano di spaventare (prima con lettere e telefonate, poi con cause legali) i blogger che resistono. La più nota è Remove your content, che ha subito scatenato l’ira di un blogger autore per dispetto di Remove your content sucks. Più larghe le dimensioni della società Righthaven, che per conto dell’editore del Las Vegas Review Journal cerca di fare tabula rasa di quei blog che riprendono le news del giornale tanto da essere divenuta una causa seguitissima dal mondo online.

Dalle lettere alle perquisizioni il passo è breve: in California è nata una squadra speciale anti-blogger, si chiama REACT, Rapid Enforcement Allied Computer Team e ha tutti i permessi per frugare per casa e sequestrare mouse e tastiera, come è accaduto nel caso di Jason Chen, il blogger-giornalista di Gizmodo famoso per il caso del prototipo di iPhone ritrovato in un bar, aperto e raccontato sul sito.

Inseguiti, multati o ancora pinzati da un ente come la Federal Trade Commission statunitense se si esagera a ricevere regali da parte delle aziende in cambio di buone parole e recensioni sulla loro merce. Prima della scorsa estate infatti la FTC ha modificato le linee guida datate anni Ottanta su consigli pubblicitari e testimonial per prodotti messi in commercio. Quei blogger che ricevono denaro o regali in cambio di pubblicità fatta sul proprio sito dovranno dichiararlo, e sottostare alla legislazione sul tema.

A testimoniare che quel che i blogger dicono, in pigiama o meno, interessi eccome i governi è la nostra legge bavaglio e il discusso ddl sulle intercettazioni. I legislatori hanno tentato l’inserimento di una norma che prevede multe fino a 12.500 euro in caso di mancata rettifica entro le 48 ore, ma probabilmente tutto si chiuderà con un nulla di fatto, perché per parafrasare un modo di dire di casa nostra, chi li ammazza i blogger? Nemmeno la legge ammazza-blog.

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