Privacy, se Facebook è un libro aperto

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Il social network ha introdotto nuove regole - tante e complicate - per la gestione dei dati personali. E adesso il fondatore Mark Zuckerberg ammette: "Fatti degli errori". Cresce la protesta in rete: il 31 maggio c'è il Quit Facebook Day

di Valeria Valeriano

“Abbiamo mancato l’obiettivo”. Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, ammette l’errore. “La nostra intenzione era di concedere un controllo più preciso della privacy – dice dalle pagine del Washington Post – ma non è quello che molti di voi vogliono”. Il mea culpa del giovane dirigente arriva dopo le recenti polemiche sulla gestione dei dati personali da parte del social network più famoso del mondo. “Abbiamo ascoltato i vostri commenti – continua –, c’è bisogno di strumenti più semplici. Stiamo lavorando per modificare le impostazioni il prima possibile”.

Le falle nella privacy di Facebook sono un argomento vecchio. Dopo i cambiamenti dello scorso aprile, però, le critiche sono diventate sempre più pesanti. Il New York Times, ad esempio, ha dato i numeri e li ha illustrati con grafici e statistiche. “È più lunga la Costituzione degli Stati Uniti o la Normativa sulla privacy di Facebook?”, si è chiesto provocatoriamente il quotidiano americano. La prima, esclusi gli emendamenti, conta 4.543 parole. La seconda arriva a 5.830, circa 1.200 in più della legge suprema Usa. Più che le opinioni dei giornali, però, a preoccupare Mark Zuckerberg e compagni, tanto da pensare a nuove regole di gestione della privacy già dalla prossima settimana, sono le reazioni degli utenti. L’attenzione verso il problema della riservatezza, infatti, è in continua crescita. Qualcuno, per protesta, progetta di abbandonare il social network. Il giorno stabilito per una cancellazione di massa è il 31 maggio, il Quit Facebook Day.

Sotto accusa, in particolare, la possibilità che informazioni o contenuti personali vengano resi visibili in altre pagine del sito o, addirittura, al resto della rete. Una delle novità meno apprezzate dagli utenti sono le community page, pagine sociali nella versione italiana. La funzione collega in modo automatico, e a volte sbagliato, i dati personali (città, scuola, lavoro, interessi, preferenze) a gruppi creati appositamente. “Le community page sono un nuovo tipo di pagina dedicata ad argomenti o esperienze che sono possedute collettivamente dalla comunità che vi si connette – si legge nel blog del social network –. Permettono di stare in contatto con altri utenti che condividono attività o interessi simili. Puoi imparare cose nuove e scoprire che dicono, a proposito, amici e non”. L’esperimento, ancora in versione beta, nelle previsioni di Facebook soppianterà gruppi e pagine fan. A molti iscritti, però, non è andato giù il modo in cui la nuova funzionalità è stata introdotta. “Con l’inganno”, accusano dal forum del centro assistenza preso d’assalto per riavere le info con la vecchia grafica. Le community page funzionano anche come una specie di raccoglitore di post. Scrivendo il nome di Silvio Berlusconi nella propria bacheca, ad esempio, si finisce nella pagina a lui dedicata. Stesso discorso per Angela Merkel, Pinco Pallino e Bart Simpson.

Ad aggregare i commenti degli utenti di Facebook ci pensano pure Openbook e Booshaka. Per la prima volta, grazie a questi siti, i contenuti del social network sono visibili anche ai non iscritti. Scavano, infatti, nelle informazioni rese pubbliche dalla società  di Mark Zuckerberg  dopo il restyling del 22 aprile. Basta digitare una o più parole e avviare la ricerca: appariranno i post degli ultimi giorni contenenti le keyword. Tutti messaggi nati nelle bacheche di Facebook, ma che ora circolano liberamente sul web. “È solo una parodia – dicono di Openbook i tre ideatori  –, ma lo scopo è serio. Vogliamo che i dati tornino privati o che, perlomeno, il social network comunichi agli utenti, in modo chiaro ed esplicito, quali informazioni renderà pubbliche”.

Scegliere con chi condividere i contenuti, in realtà, è ancora possibile. Così come è possibile non farli uscire da Facebook e farli rimanere visibili solo ai propri amici. Le informazioni che finiscono su Openbook, Booshaka o tra i post globali delle community page, infatti, sono impostate dagli utenti come accessibili a tutti. L’opzione “solo amici”, invece, dovrebbe garantire una certa riservatezza. Il problema, però, è che districarsi tra le impostazioni della privacy non è semplice e richiede tempo e pazienza. Il New York Times ha calcolato che, per rendere i propri dati almeno parzialmente privati, bisogna scegliere tra più di 170 opzioni e selezionare (e a volte deselezionare) almeno 50 caselle. Un labirinto.

“Abbiamo cercato un compromesso tra il fornire una gestione completa e precisa della privacy e offrire degli strumenti che potessero essere semplici da usare – ha spiegato al quotidiano Elliot Schrage, vice presidente per le politiche pubbliche di Facebook –. Abbiamo deciso di concedere un controllo più dettagliato possibile delle impostazioni. Ma dettagliate sono anche le informazioni che abbiamo fornito a riguardo”. Spiegazioni che, però, non hanno convinto tutti. Non sono bastate, ad esempio, all’Unione europea. L’Article 29 Working Party, l’organo consultivo indipendente dell’Ue per la protezione dei dati personali e del diritto alla riservatezza, ha minacciato pesanti sanzioni se Facebook non correggerà il tiro. “È inaccettabile che l’azienda abbia cambiato le impostazioni a scapito degli utenti – scrive in una lettera il comitato composto dai garanti per la privacy europei –. Gli iscritti devono avere il pieno controllo dei dati e qualsiasi trattamento delle informazioni deve essere autorizzato consapevolmente”.

“Abbiamo fatto un sacco di errori – ha confessato il fondatore di Facebook in una mail ad un blogger californiano prima dell’intervento sul Washington Post  –. La mia speranza è che il servizio migliori e che la gente capisca che le nostre intenzioni erano buone”. La gente apprezzerà il dietrofront? La piazza virtuale più frequentata, dopo aver superato i 500 milioni di visitatori in aprile, comincia a spopolarsi. Più di 16 mila persone hanno già aderito al Quit Facebook Day. Poche in confronto ai 400 milioni di iscritti che il sito vanta, ma comunque in grado di dare il via alla moda dell’esodo. Una diaspora che potrebbe portare gli scontenti in un nuovo social network: Diaspora, appunto. Nascerà a settembre, si propone come l’anti Facebook e promette un controllo pieno e trasparente dei dati personali. Perché va bene mettere alcuni dei propri pensieri in piazza, ma diventare un libro aperto non piace a nessuno.

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