Ahmadinejad: “Obama parla il linguaggio delle bombe”

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Il presidente iraniano, nel giorno in cui Usa e Russia hanno firmato uno storico accordo sul disarmo nucleare, rilancia e accusa le altre potenze mondiali di “complottare” contro la Repubblica islamica: “Non imploreremo perché ritirino le sanzioni”

L'Iran risponde colpo su colpo alle dichiarazioni e alle mosse diplomatiche degli Usa in materia di armi atomiche. Dopo che Teheran ha annunciato per metà aprile un controvertice sulla questione nucleare in risposta ad una iniziativa simile in programma a Washington, oggi il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha affermato che il suo governo non supplicherà le grandi potenze perché non impongano nuove sanzioni all'Iran, proprio nel giorno in cui il presidente Usa Barack Obama ha discusso di questa ipotesi con il suo omologo russo Dmitri Medvedev e ha previsto "forti, dure sanzioni" entro la primavera.  
   
Ahmadinejad ha inoltre accusato Obama di parlare "il linguaggio delle bombe e delle pallottole", in un crescendo polemico, dopo che ieri aveva minacciato "una risposta da rompere i denti" agli Usa nel caso di un attacco alla Repubblica islamica.
   
"Non accogliamo con favore l'idea di sanzioni, ma non imploreremo coloro che ci minacciano di sanzioni perché le ritirino", ha affermato Ahmadinejad.
   
Nei giorni scorsi Teheran ha annunciato che la Cina, finora fermamente contraria a nuove sanzioni contro l'Iran,  parteciperà ad un vertice sul nucleare promosso dalla Repubblica islamica il 17 e 18 aprile, che farà seguito a quello che si svolgerà a Washington il 12 e 13 aprile. E il ministro dell'Economia iraniano, Shamseddin Hosseini, in visita proprio a Pechino, ha affermato che "le pressioni non avranno alcun effetto sulla volontà dell'Iran di arrivare ai suoi obiettivi di progresso e sviluppo".
   
Teheran non rinuncia nel frattempo alla sua retorica più dura. "Se l'America - ha affermato il capo delle forze armate, generale Hassan Firuzabadi - ci ponesse una seria minaccia e prendesse un'iniziativa contro di noi, nessun soldato americano che attualmente si trova nella regione tornerebbe vivo nel suo Paese".      

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