Lo scorso 7 marzo il responso delle urne non ha dato una chiara maggioranza. Si discute per un governo che coinvolga tutti i partiti in campo. Ma gli accordi sono difficili, tranne che su un punto: il ritiro dei marines dal Paese
Ayad Allawi, vincitore delle elezioni politiche irachene svoltesi il 7 marzo scorso, si è detto "aperto a trattative immediate con tutti i partiti": l'ex premier ha affermato che la stabilità dell'Iraq è necessaria per quella del Medio Oriente e che il Paese "non dovrà più dipendere dagli americani" per garantire la propria sicurezza. Allawi ha parlato il giorno dopo la diffusione dei dati ufficiali, stando ai quali il suo Blocco Iracheno (sciita laico, ma che comprende anche personalità sunnite) ha ottenuto 91 seggi sui 325 in lizza contro gli 89 dell'Alleanza per lo Stato di Diritto (Aed, sciita) del premier uscente, Nouri al Maliki. L'Alleanza Irachena, che raccoglie i principali partiti confessionali sciiti e i seguaci del leader radicale Moqtada Al Sadr, ha raccolto 70 deputati mentre Kurdistania, la coalizione formata dai due partiti storici curdi (Upk e Pdk), ha ottenuto 43 deputati. Nessuno dei partiti ha così ottenuto la maggioranza di 163 deputati, il che renderà necessario un governo di coalizione.
La formazione del nuovo governo potrebbe rivelarsi un processo di mesi - dopo le scorse elezioni ne dovettero passare sei - nonostante la legislatura termini il 16 marzo e da allora l'esecutivo uscente non potrà che dedicarsi al disbrigo degli affari correnti. In base alla Costituzione irachena il Presidente della Repubblica incarica il leader del partito di maggioranza - in questo caso Allaqi - che ha 30 giorni di tempo per formare un esecutivo; in caso di fallimento l'incarico passa ad un altro deputato, che ha due settimane a disposizione per presentare un'alternativa.
Tuttavia Al Maliki ha già fatto sapere di considerare i risultati solo provvisori e di non accettare la sconfitta, fidando nei ricorsi presentati contro dei presunti brogli; nei giorni scorsi, a scrutinio non ancora ultimato, il premier aveva chiesto addirittura un nuovo conteggio, spalleggiato dal presidente Jalal Talabani: un'ipotesi subito esclusa dalla Commissione Elettorale indipendente. Al Maliki ha anche incontrato i rappresentanti dell'Alleanza Nazionale Irachena, principale partito confessionale sciita, in particolare due delegati del movimento radicale di Moktada Al Sadr, fin qui contrario ad una riconferma del mandato al premier uscente.
Sia le Nazioni Unite che le autorità militari statunitensi hanno tuttavia definito le elezioni "credibili": dal loro successo, o per meglio dire dalla pacifica transizione dei potrei, dipenderà in gran parte il rispetto del calendario fissato dalla Casa Bianca per il ritiro delle proprie truppe dal Paese, ritiro che dovrebbe iniziare nella prossima estate.
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La formazione del nuovo governo potrebbe rivelarsi un processo di mesi - dopo le scorse elezioni ne dovettero passare sei - nonostante la legislatura termini il 16 marzo e da allora l'esecutivo uscente non potrà che dedicarsi al disbrigo degli affari correnti. In base alla Costituzione irachena il Presidente della Repubblica incarica il leader del partito di maggioranza - in questo caso Allaqi - che ha 30 giorni di tempo per formare un esecutivo; in caso di fallimento l'incarico passa ad un altro deputato, che ha due settimane a disposizione per presentare un'alternativa.
Tuttavia Al Maliki ha già fatto sapere di considerare i risultati solo provvisori e di non accettare la sconfitta, fidando nei ricorsi presentati contro dei presunti brogli; nei giorni scorsi, a scrutinio non ancora ultimato, il premier aveva chiesto addirittura un nuovo conteggio, spalleggiato dal presidente Jalal Talabani: un'ipotesi subito esclusa dalla Commissione Elettorale indipendente. Al Maliki ha anche incontrato i rappresentanti dell'Alleanza Nazionale Irachena, principale partito confessionale sciita, in particolare due delegati del movimento radicale di Moktada Al Sadr, fin qui contrario ad una riconferma del mandato al premier uscente.
Sia le Nazioni Unite che le autorità militari statunitensi hanno tuttavia definito le elezioni "credibili": dal loro successo, o per meglio dire dalla pacifica transizione dei potrei, dipenderà in gran parte il rispetto del calendario fissato dalla Casa Bianca per il ritiro delle proprie truppe dal Paese, ritiro che dovrebbe iniziare nella prossima estate.
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