Giulia Ligresti risarcita con 16mila euro per 16 giorni di carcere: “Ingiusta detenzione”

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Giulia Maria Ligresti, figlia del costruttore e assicuratore Salvatore, è stata indennizzata per i 16 giorni di custodia cautelare in carcere in seguito all’arresto del 2013 per l’inchiesta su Fondiaria-Sai, ma non anche per i 50 giorni domiciliari successivi alla richiesta di patteggiamento e per i 20 giorni di pena espiata in cella nel 2018. La donna aveva chiesto il risarcimento per 1,3 milioni di euro per “errore giudiziario” e “ingiusta detenzione”

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Giulia Maria Ligresti, figlia del costruttore e assicuratore Salvatore, sarà risarcita per “ingiusta detenzione” per i 16 giorni di custodia cautelare in carcere dopo l’arresto nel 2013 dovuto all’inchiesta sui supposti falsi da 600 milioni nelle riserve sinistri di Fondiaria-Sai. I giudici milanesi hanno anche stabilito un’indennizzo pari a 16mila euro, quadruplicata rispetto ai parametri di legge (che prevedono 256 euro al giorno anziché mille) “in considerazione del clamore mediatico dell’arresto” e della “particolare afflittività” della detenzione. A riportare la notizia è il Corriere della Sera.

La decisione

Ligresti nel 2013 aveva chiesto e ottenuto di patteggiare per “errore giudiziario” e “ingiusta detenzione”, reati ritenuti poi insussistenti in seguito alle sentenze che nel 2015 avevano invece assolto il fratello Paolo, innescando la revisione della definitiva condanna della sorella e infine la sua assoluzione. I giudici di Milano hanno quindi acconsentito a un indennizzo solo per i 16 giorni di custodia cautelare in carcere nel 2013, e non anche per i 50 giorni di domiciliari successivi alla richiesta di patteggiare, e tantomeno per i 20 giorni di pena espiata in carcere nel 2018.

La richiesta di 1,3 milioni di euro di risarcimento

Il Corriere riporta che Ligresti chiedeva di essere risarcita con 1,3 milioni sia per errore giudiziario sia per ingiusta detenzione: il tema era se aver patteggiato fosse o no uno di quei “comportamenti dolosi o gravemente colposi” che per legge escludono l’indennizzo. La Corte d’Appello – prosegue il quotidiano - nega ristoro all’errore giudiziario perché il patteggiamento "è inequivocabile manifestazione di volontà dell’imputato" e “presuppone il suo implicito riconoscimento di responsabilità”. Per lo stesso motivo non ripara anche l’ingiusta detenzione nei giorni successivi alla richiesta di patteggiamento. Invece riconosce l’equa riparazione (che non è risarcimento di un inesistente comportamento illecito della pubblica amministrazione, ma un equo ristoro) dei 16 giorni dal 17 luglio al primo agosto 2013 nei quali ritiene Ligresti ingiustamente detenuta in custodia cautelare.

Giulia Maria Ligresti, figlia del costruttore e assicuratore Salvatore
Giulia Maria Ligresti, figlia del costruttore e assicuratore Salvatore - ©Ansa

L’iter giudiziario di Giulia Ligresti

Nell’inchiesta sui supposti falsi da 600 milioni nelle riserve sinistri di Fondiaria-Sai, Giulia Ligresti fu arrestata dal gip di Torino il 17 luglio 2013 quale vicepresidente di Fondiaria (pur senza deleghe esecutive) e asserita beneficiaria con i familiari “del sistema fraudolento”. Replicò di non sapere nulla dei criteri contabili, dismise ogni carica e il 2 agosto chiese di patteggiare. Il 28 agosto passò dal carcere ai domiciliari su richiesta del pm dopo una perizia sulle sue condizioni di salute, alle quali (si scoprì poi da alcune intercettazioni) si era interessata anche il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Il 3 settembre 2013 Ligresti ottenne dal gip di patteggiare 2 anni e 8 mesi, il 19 settembre tornò libera. Fino a quando il 19 ottobre 2018 fu arrestata per scontare appunto la pena patteggiata nel 2013. Solo che nel frattempo a Milano il fratello Paolo e due manager (dopo gli atti trasmessi per competenza da Torino) erano stati assolti il 16 dicembre 2015 per insussistenza di quei medesimi reati costatile invece la condanna nel 2013. Un contrasto di giudicati che determinò lo stop all’espiazione della pena il 7 novembre 2018, la revisione della condanna, e l’assoluzione il primo aprile 2019 “perché il fatto non sussiste”.

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