Milano, ditte funebri corrompevano addetto obitorio: "400 euro per vestire salme Covid"

Lombardia

Il dipendente ospedaliero 57enne è accusato di aver consegnato in diverse occasioni a due impresari funebri documentazione relativa ai decessi in cambio di soldi

Accordi tra un operatore dell'obitorio dell'Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano e due dipendenti di ditte funebri: è quanto emerge da un'indagine della Polizia locale milanese, coordinata dalla procura, che ha portato oggi all'emissione di tre misure cautelari interdittive firmate dal gip Stefania Donadeo. Sospeso dall'esercizio del pubblico servizio un dipendente ospedaliero di 57 anni, mentre ai due lavoratori (di 29 e 38 anni) di Milano e Baranzate è stato imposto il divieto di esercitare l'attività di impresario funebre. In tutto risultano indagate 13 persone.

"Una diffusa pratica corruttiva"

Tre gli esposti che hanno fatto scattare l'inchiesta coordinata dal pm Stefano Civardi e dall'aggiunto Maurizio Romanelli, in cui si parla di "atteggiamenti confidenziali" tra impresari e operatori degli obitori, i quali permettevano ai primi di accedere alla camera mortuaria senza alcuna richiesta ai parenti del defunto, come previsto dal regolamento aziendale. Il 57enne è accusato di aver consegnato in diverse occasioni documentazione relativa ai decessi in cambio di soldi.

I poliziotti scrivono che "le conversazioni intercettate a partire da febbraio 2021 si sono rivelate indicative di una diffusa pratica corruttiva" e che, in particolare il dipendente ospedaliero, "comunicava i decessi che avvenivano in ospedale direttamente all'impresa funebre, indirizzava i familiari a specifiche onoranze funebri, millantando anche inesistenti convenzioni con il Comune di Milano che avrebbero garantito prezzi calmierati, e consentiva l'accesso al personale delle imprese funebri alle camere mortuarie". I comportamenti degli imputati vengono definiti di "particolare sfrontatezza".

Le violazioni alle regole anti-Covid

Dall'ordinanza del gip Stefania Donadeo emerge anche la proposta che, stando ad una sua denuncia, si sarebbe sentito fare un addetto della camera mortuaria dell'ospedale Sacco di Milano dal responsabile di un'impresa di onoranze funebri. L'addetto all'obitorio il 17 novembre 2020, in piena seconda ondata Covid, avrebbe consegnato un esposto alla Polizia locale di Milano, che poi ha condotto le indagini. Una decina di giorni prima, stando alla denuncia, "un soggetto dell'impresa di pompe funebri Penati", il cui titolare è tra i 13 indagati, si sarebbe rivolto a lui così: "Girati verso di me e guardami negli occhi, ti spiego io come funziona esattamente qui (...) qui funziona così, prendi i vestiti e vestila, se è una salma Covid non ti preoccupare che te ne do anche 400, i famigliari la vogliono vestita". Le salme di morti per Covid, stando ai regolamenti sanitari, non possono essere vestite. Al suo rifiuto l'imprenditore avrebbe replicato: "Sei solo tu che non li prendi, a questo punto manda un'infermiera a vestirla". E, sempre stando all'esposto, l'operatore avrebbe "assistito all'arrivo dell'incaricato dell'impresa di onoranze funebri Penati che effettivamente 'incassava' la salma". 

A denunciare gli accordi illeciti e le buste di soldi che vedevano girare sono stati anche il titolare e un altro addetto di quell'impresa di servizi funebri che solo per due settimane ha lavorato nell'obitorio "a supporto" a causa della pandemia.

Le parole del gip

La giudice nell'ordinanza spiega che "gli indagati hanno dimostrato particolare spavalderia nell'attuazione e partecipazione alle pratiche corruttive". La gestione "dei servizi obitoriali dell'ospedale 'Luigi Sacco' di Milano - scrive ancora il gip - è patologicamente affetta da un radicato sistema" di corruzione "intercorrente tra gli operatori" della camera mortuaria e "taluni impresari delle agenzie funebri operanti sul territorio di Milano". Le misure interdittive hanno riguardato un operatore dell'obitorio che "segnalava" le salme in cambio di denaro e i due rappresentanti delle imprese di pompe funebri Sofam Ap srl di Baranzate e 'Maggiore di Gramendola Antonio' di Milano. L'operatore indirizzava a queste imprese "i familiari dei deceduti". Tra i vari episodi che emergono dall'ordinanza anche il racconto di un caso in cui, stando sempre ad una testimonianza, non sarebbero stati rispettati i protocolli anche se c'era il "sospetto" che una morte potesse essere attribuibile alla sindrome della cosiddetta "mucca pazza". 

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