La giovane studentessa venne uccisa con 29 coltellate nel gennaio 1987 e ritrovata morta in un bosco a Cittiglio nel Varesotto
E' stata confermata dalla Cassazione l'assoluzione di Stefano Binda, accusato dell'omicidio di Lidia Macchi, studentessa 21enne uccisa con 29 coltellate nel gennaio 1987 e ritrovata morta in un bosco a Cittiglio nel Varesotto.
Nel 2018, in primo grado, Binda era stato condannato all'ergastolo, e poi prosciolto in appello dalla Corte di Assise di appello di Milano il 24 luglio 2019 (LE MOTIVAZIONI). Contro il proscioglimento avevano presentato ricorso il Pg di Milano e le parti civili, ricorso dichiarato oggi inammissibile dagli ermellini. Il caso resta quindi irrisolto.
I familiari della vittima: "Nessuna prova che fu Binda"
"Crediamo che durante il corso delle indagini e soprattutto dei processi non siano emerse prove a sufficienza per ritenere che Stefano Binda sia stato l'assassino di Lidia e pertanto comprendiamo la sua completa assoluzione". E' quanto scrivono in una lettera Paola, Stefania e Alberto Macchi, rispettivamente madre e fratelli di Lidia Macchi. "In noi rimarrà per sempre la ferita di non aver trovato il colpevole della morte di Lidia", prosegue la lettera. I familiari ricordano la "dolorosa scoperta della distruzione e sparizione di alcuni reperti che, con le tecniche moderne, avrebbero potuto portare un apporto decisivo in questo percorso giudiziari". "Come famiglia - prosegue la lettera - ci teniamo a ringraziare tutti quelli che in questi anni hanno collaborato alla ricerca della verità, e in particolar modo il nostro avvocato Daniele Pizzi". I familiari sottolineano nella lettera il difficile percorso doloroso che è la Giustizia e concludono con le parole della stessa Lidia, ricordate da sua madre: "nulla, nemmeno il dolore più atroce è privo di senso…è così semplice rispondere eccomi, anche nella notte più fonda, eccomi, sono Tua (Signore) prima di tutto, eccomi, nulla più mi fa paura".
La requisitoria
Il sostituto Procuratore generale della Cassazione, Marco Dall'Olio, nella sua requisitoria davanti al prima sezione penale aveva chiesto di confermare l'assoluzione per Binda sottolineando che "il principio di presunzione di innocenza e quello dell'oltre ogni ragionevole dubbio sono stati correttamente applicati" nel verdetto d'appello che ha prosciolto l'imputato. "La sentenza non ha compiuto alcuna anomala parcellizzazione dell'apparato indiziario nel suo percorso di ribaltamento delle certezze del primo grado", ha detto il Pg della Cassazione, rilevando che l'alibi di Binda "non è stato smentito, non c'è il movente, non è suo il dna trovato sul corpo della vittima e nessuno ha individuato contatti tra Binda e Macchi la sera della scomparsa della vittima".