Secondo quanto scriveva il 28 marzo il direttore generale, Giuseppe Calicchio, in un contesto in cui "l'approvvigionamento" di mascherine e dispositivi di protezione "è particolarmente difficoltoso", si è scelto di "evitarne lo spreco laddove non necessari"
In una lettera datata 28 marzo il direttore generale del Pio Albergo Trivulzio Giuseppe Calicchio, indagato per epidemia e omicidio colposi nell'inchiesta della Procura milanese sul comportamento delle Rsa durante l'emergenza Coronavirus (TUTTI GLI AGGIORNAMENTI - LO SPECIALE - L'EMERGENZA IN LOMBARDIA), scriveva che in un contesto in cui "l'approvvigionamento" di mascherine e dispositivi di protezione "è particolarmente difficoltoso", il Pio Albergo Trivulzio di Milano "ha scelto di evitarne lo spreco laddove non necessari" e di "favorirne, già dal 23 febbraio, la disponibilità laddove il personale sanitario è invece chiamato ad operare utilizzando aerosol, e con pazienti e ospiti con sintomatologie respiratorie e/o febbrili".
La lettera
Nella missiva il dg chiariva che "l'Azienda non può che attenersi scrupolosamente alle disposizioni emanate a livello nazionale" e "regionale" sui dispositivi di protezione che fanno "espresso riferimento alle disposizioni impartite dall'Organizzazione mondiale della sanità". Nella lettera Calicchio precisava anche che non poteva essere a lui imputata "alcuna violazione di norme e prescrizioni" e che "anzi la politica aziendale, ispirandosi sui criteri sopra indicati", ossia la "scarsità dei dispositivi" e le norme in vigore sino a quel momento, "è assolutamente in linea con quanto risulta disposto allo stato a tutela dell'integrità psicofisica del personale sanitario tutto". In più, il dg diceva di essere pronto "a modificare le direttive interne in materia di pari passo con l'evolversi della situazione e delle disposizioni governative e regionali".
La comunicazione della direzione generale del Welfare della Lombardia
Il 'numero uno' del Pat in quel periodo inviò anche ai rappresentanti sindacali dei lavoratori una comunicazione del direttore generale Welfare della Regione Lombardia, Luigi Cajazzo, diffusa dalle Ats alle varie strutture e datata 14 marzo, che aveva per oggetto il "corretto utilizzo dei Dpi". Nella nota Cajazzo dava conto che per i dispositivi di protezione "si stanno evidenziando reali difficoltà di approvvigionamento, nonostante tutti i tentativi che sono stati fatti su diversi fronti". Cajazzo segnalava che "è pertanto necessario tutelare in via prioritaria gli operatori che si stanno occupando dei pazienti Covid positivi". In quel periodo, come evidenziato da diverse difese delle Rsa coinvolte nelle inchieste milanesi, le case di riposo non potevano sapere di avere a che fare con malati Covid perché non avevano tamponi da effettuare. Su questi punti e sulle presunte minacce per impedire l'uso delle mascherine al Trivulzio e in altre Rsa sono in corso le indagini dei pm milanesi.
Un medico malato già a fine febbraio
Al reparto 'Pringe', ossia pronto intervento geriatrico, del Pio Albergo Trivulzio di Milano, dove "transita ogni paziente" proveniente da ospedali e ricoverato nella struttura, "già alla fine di febbraio" un medico e una caposala "si assentavano per malattia" per sospetto Covid. È quanto è scritto in una delle denunce degli infermieri e degli operatori sanitari. I "casi di contagio tra i sanitari sono stati e sono ad oggi numerosi", scrive un'infermiera nella denuncia, e tra questi cita appunto quelli di un medico in servizio al 'Pringe' e di una caposala. Reparto nel quale, tra l'altro, stando alle analisi delle cartelle cliniche sequestrate dalla Gdf nel corso delle perquisizioni dei giorni scorsi, già a partire da gennaio ci sarebbero stati casi di polmoniti sospette. Al Pringe, tra l'altro, a metà marzo arrivarono una ventina di pazienti provenienti da altri ospedali.
Il caso di una infermiera
Nella denuncia si parla anche "dell'emblematico" caso di un'infermiera in servizio presso uno dei reparti del Pat, il Grossoni, alla quale "ad inizio aprile veniva richiesto di svolgere turni di lavoro anche presso il reparto Sant'Andrea". E che "a pochi giorni di distanza dal turno svolto presso quel reparto riferiva un importante rialzo febbrile e veniva trasportata in pronto soccorso, dove il tampone" dava esito "positivo". Il personale che era stato a contatto con quell'infermiera, secondo la denuncia, "non riceveva comunicazione formale da parte del Pat o dai responsabili del reparto circa lo stato di salute e la positività al Covid-19 della collega". Nella denuncia viene riportato anche che il 22 aprile erano stati trasferiti al reparto Grossoni cinque pazienti da altri reparti che "non erano affetti da Covid". Poi, però una paziente "entrata al Pat attraverso il reparto Pringe e sino al 22 aprile" ospite in un altro reparto e poi spostata al Grossoni era risultata "positiva", il 28 aprile, anche al secondo tampone.
Comitato parenti incontra Pregliasco
Intanto, quest’oggi il 'Comitato Verità e Giustizia per le vittime del Trivulzio’ ha incontrato in videoconferenza il supervisore scientifico nominato a fine aprile dal Pat, il virologo Fabrizio Pregliasco, il quale “si è mostrato disponibile a rispondere alle nostre domande, anche se le nostre aspettative erano diverse”, riferisce Alessandro Azzoni, portavoce del comitato dei parenti. A Pregliasco "sono state rivolte 31 domande riguardanti la struttura del Pat, il controllo del contagio, la gestione del rischio e l'accesso alle informazioni per favorire la massima trasparenza". Per Azzoni, però, "basta guardare le carte per comprendere le ragioni per cui il prof. Pregliasco non è un consulente neutrale". Tra le domande poste questa: "Quale è iI numero dei deceduti, totale e scomposto (per struttura, reparto, piano), in ogni settimana dal primo febbraio ad oggi, nel confronto con lo stesso periodo del 2018 e 2019; e il numero dei decessi di persone dimesse dal Pat verso ospedali o verso la propria residenza”.
"Incontro deludente"
L’incontro, durato tre ore, è stato poi definito "deludente" da Azzoni, il quale ha riferito all'Ansa che il virologo Pregliasco ha "negato ogni responsabilità della struttura" e "ogni fatto, ogni testimonianza che abbiamo portato sulle carenze procedurali e organizzative è stata da lui giustificata come una cosa inevitabile". Azzoni ha dato atto al virologo di aver mostrato "grande disponibilità, ma purtroppo le risposte che ci ha dato sono andate tutte in un'unica direzione, ossia non sono state da supervisore ma da consulente di parte. Tutte risposte - ha aggiunto - per giustificare le gravi carenze procedurali che hanno causato morti e feriti". Alle 31 domande poste dai familiari "solo in parte - ha aggiunto Azzoni - è riuscito a rispondere e si è comunque ripromesso di farlo e noi ci aspettiamo, però, risposte più circostanziate".
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