Coronavirus, parenti Trivulzio: "Da marzo morti 200 su 1000 degenti"

Lombardia
Trivulzio (ANSA)

Lo scrive Alessandro Azzoni, portavoce del Comitato Giustizia per le vittime del Trivulzio in una nota. "Dalle informazioni non ufficiali", inoltre, sono "circa 200 sono quelli positivi, il personale è fortemente sotto organico"

Secondo Alessandro Azzoni, portavoce del Comitato Giustizia per le vittime del Trivulzio, da inizio marzo sono circa 200 gli anziani deceduti su mille degenti presenti nella Rsa Pio Albergo Trivulzio. Azzoni non è ancora stato convocato dalla Procura ma sarà uno dei parenti degli ospiti del Trivulzio che verrà ascoltato dal pool guidato dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano che sta indagando sulle rsa milanesi. (TUTTI GLI AGGIORNAMENTI)

"Situazione molto critica"

"La situazione al Trivulzio è molto critica - scrive Azzoni in una nota -. Dalle informazioni non ufficiali, da inizio marzo sono circa 200 gli anziani deceduti su 1.000 degenti, circa 200 sono quelli positivi, il personale è fortemente sotto organico, su 1.100 operatori sanitari quasi 300 sono a casa in malattia. Bisogna intervenire subito per salvare le vite dei nostri genitori e nonni". "C'è un silenzio assordante da parte delle Istituzioni, a partire dalla Regione, responsabile della gestione sanitaria". "Siamo preoccupati anche per il personale sanitario - scrive - costretto a lavorare con turni massacranti. Le testimonianze che stiamo raccogliendo da parte dei parenti degli ospiti sono allarmanti. È in gioco la vita di persone fragili e indifese. Chi ha reali intenzioni di salvarle? Rivolgiamo questo appello alla politica e alla dirigenza del Pio Albergo Trivulzio. Attendiamo risposte immediate, il tempo per salvare i nostri cari è ormai scaduto".

Il racconto di un'operatrice del Trivulzio

"Stanno continuando a trasferire i pazienti da un reparto all'altro, senza aver fatto nemmeno i tamponi, lo fanno la sera di nascosto, gli anziani continuano a morire, la situazione non è migliorata". Questo è il racconto all'ANSA di un'operatrice sociosanitaria che da 31 anni lavora al Pio Albergo Trivulzio di Milano. "La prima mascherina nel mio reparto si è vista il 22 marzo", ha aggiunto, spiegando che lei "il 12 marzo chiese di averne una, ma a me come ad altre colleghe che le avevano portate da casa venne intimato dalla caposala di non usarle".

Le parole dell'operatrice

Il "trasferimento di pazienti, che dovrebbero rimanere isolati dove sono, da reparto a reparto, senza tamponi è avvenuto anche venerdì scorso, di sera, quando ci sono solo i turnisti", prosegue la testimonianza. L'operatrice ha raccontato che quando ha  chiesto la prima volta una mascherina alla caposala "lei si è infuriata, io le ho detto che non potevo lavorare a contatto con gli ospiti senza, perché avrei potuto portare anche io il virus a loro, ma mi è stato detto che così facendo avrei tolto una mascherina a chi davvero doveva usarla". E ancora: "Per spaventarmi mi ha anche detto che avrebbe segnalato la cosa al direttore generale".
Sempre stando al suo racconto, "hanno iniziato a misurare la temperatura ai dipendenti solo a fine marzo, c'era un termometro per reparto, io me lo portavo da casa". La donna ha spiegato che sia gli operatori che gli infermieri si erano accorti "che stavano nascondendo la gravità della situazione, noi capivamo che quelle non erano polmoniti normali, nel mio reparto il primo paziente per questa polmonite è morto il primo febbraio, poi piano piano si sono ammalati altri anziani e anche miei colleghi". Ora lei da poco è in quarantena, "ci dovrò rimanere fino a metà maggio, ho dei sintomi, una mia collega da venerdì è in rianimazione". Nei reparti, ha spiegato ancora, "hanno anche ridotto il personale, ora ci si trova anche da soli la notte con 18-19 ospiti, racconto queste cose perché voglio che vengano salvate le vite degli ospiti rimasti e dei miei colleghi”.

Le testimonianze degli infermieri

Intanto, nell'ambito dell''inchiesta della Procura di Milano sulle presunte irregolarità nella gestione dell'emergenza Coronavirus nelle case di riposo, gli inquirenti stanno raccolgiendo le testimanianze di alcuni infemieri del Trivulzio: "Ci minacciavano se usavamo le mascherine, non dovevamo spaventare i pazienti", riferiscono i dipendenti. Inoltre, stando ai racconti dei lavoratori e a una lettera di diffida che era stata inviata dai sindacati Cisl-Cgil ai vertici della struttura (tra cui il dg Giuseppe Calicchio, indagato per epidemia e omicidio colposi), gli operatori avrebbero ricevuto le mascherine per proteggere loro stessi e gli anziani ospiti oltre un mese dopo lo scoppio dell'epidemia in Lombardia, il 23 marzo scorso. E gli stessi sindacati avevano parlato delle "velate minacce" agli operatori.

Le accuse

Anche tra lo stesso personale del Trivulzio, però, in questi giorni sono volate accuse incrociate tra chi difende i vertici e chi li accusa, come hanno fatto molti familiari degli anziani con le loro denunce.  Il Trivulzio in un documento scrive che già "dal 22 febbraio" iniziò a isolare i pazienti con sintomi, anche se non poteva fare tamponi perché riservati solo "agli ospedali", e che ha sempre fornito le mascherine pur nelle difficoltà di "approvvigionamento". Nel frattempo, si indaga anche sul ricovero di pazienti con polmoniti già da gennaio nel reparto di degenza geriatrica Pringe del Pat, altro fattore che potrebbe aver alimentato i contagi, oltre che sui noti trasferimenti di pazienti Covid-19 nelle altre Rsa sulla base delle delibera regionale dell'8 marzo. Il Trivulzio fece da centrale di smistamento di quei malati, un "servizio", si legge in un documento del 14 marzo, che svolgeva per conto della "Unità di crisi di Regione Lombardia".

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