In Evidenza
Altre sezioni
altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

Falso complotto Eni, pm: "Il fine era proteggere l’ad Descalzi"

Lombardia
Claudio Descalzi (LaPresse)

Lo si legge nel decreto di perquisizione firmato dal procuratore aggiunto Laura Pedio e dal pm Paolo Storari ed eseguito ieri dalla guardia di finanza di Milano nell'ambito dell'indagine sul falso depistaggio. Il gruppo: "Stima verso gli attuali dirigenti interessati"

Condividi:

Erano "tutti interessati a vario titolo a proteggere Descalzi" l'ad di Eni "dalle indagini per corruzione internazionale”, l'ex legale esterno del gruppo Piero Amara e "i suoi complici", ossia Alessandro Ferraro, un collaboratore di Amara, il tecnico petrolifero Massimo Gaboardi, l'avvocato Giuseppe Calafiore, l'ex pm di Siracusa Giancarlo Longo e, "per conto di Eni", l'avvocato Michele Bianco e Claudio Granata, capo del personale del cane a sei zampe. È quanto riportato nel decreto di perquisizione firmato dal procuratore aggiunto Laura Pedio e dal pm Paolo Storari ed eseguito ieri dalla guardia di finanza di Milano nell'inchiesta sul falso complotto-depistaggio.

Processi per accreditare la falsa tesi del complotto contro Descalzi

Dalle indagini, si legge nel documento, è emerso che nelle "Procure di Trani e Siracusa" dal "gennaio 2015 sono stati incardinati procedimenti penali nei quali si accreditava la tesi (falsa) di un complotto organizzato ai danni di Claudio Descalzi da vari soggetti italiani e stranieri". Questi procedimenti, scrivono i pm, "sono stati avviati e coltivati da Piero Amara" e dai "suoi complici" tutti "interessati a vario titolo a proteggere Descalzi", indagato e poi imputato nel processo in corso sul caso Eni-Shell/Nigeria. In più, scrive la Procura, "il cambiamento di linea e l'attenuazione delle dichiarazioni accusatorie" nei confronti di Descalzi da parte di Vincenzo Armanna, ex manager Eni (licenziato nel 2013), nel "processo Eni Nigeria è stata determinata da promesse di utilità effettuate da Claudio Granata e Michele Bianco, attraverso Piero Amara: in particolare ad Armanna è stata promessa la riassunzione in Eni e lo 'sblocco' di alcuni appalti affidati dal gruppo Eni alla azienda nigeriana Fenog, di cui Armanna era consulente". Armanna, scrivono i pm, "aderiva alla richiesta" di ritrattare "con una memoria depositata" nel 2016, con "l'interrogatorio del 13 luglio 2016, il confronto con Claudio Descalzi" sempre di luglio, "le dichiarazioni spontanee rese al Gup" nel 2017 e ancora con una memoria, ma "non si avvaleva della facoltà di non rispondere in dibattimento" e rivelava, invece, "le pressioni subite per non rendere interrogatorio". Inoltre, dal canto suo, Amara, arrestato nel 2018 in un'indagine congiunta Roma-Messina, "ha ricevuto denaro al fine di serbare il silenzio sul coinvolgimento di Bianco e Granata nelle iniziative giudiziarie di Trani e Siracusa". E gli sarebbero stati promessi "compensi professionali non inferiori ai 150.000 euro all'anno".

Gli elementi in mano alla Procura

Per la Procura, dalle complesse indagini, con al centro le accuse di associazione per delinquere (dal 2014 fino allo scorso luglio), induzione a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria, corruzione tra privati e altri reati, "sono emersi elementi gravi e concreti che consentono di ritenere che un gruppo di persone unite tra loro da stretti legami personali e/o di affari", tra cui "dirigenti e avvocati interni ed esterni della società ENI", abbia "dato vita ad una associazione a delinquere" per "intralciare l'attività giudiziaria, depistare e delegittimare, attraverso false denunce e la costruzione ad hoc di un complotto sorretto da missive anonime e documenti falsi" le inchieste milanesi. Procedimenti "che vedono coinvolta, fra gli altri, la società ENI", Descalzi "e l'ex ad Scaroni, con il particolare intento di far risultare falsamente che quanto emerso" fosse "il frutto di una macchinazione ai loro danni".

Il comunicato di Eni

"Eni, in merito ai provvedimenti emessi giovedì dalla Procura della Repubblica di Milano, desidera confermare la propria stima nei confronti degli attuali dirigenti interessati". È quanto riportato in una nota in cui la compagnia petrolifera italiana esprime la sua posizione in seguito alle perquisizioni di ieri della guardia di finanza nell'ambito dell'indagine sul falso complotto-depistaggio, ribadendo "la fermissima convinzione di essere parte lesa" e di continuare a "perseguire con rinnovato vigore e determinazione nelle sedi già adite la tutela della propria reputazione. Eni tiene a evidenziare con grande sconcerto - prosegue il gruppo - che le accuse alla base dei provvedimenti sono state formulate dai signori Piero Amara e Giuseppe Calafiore, soggetti pluripregiudicati e Vincenzo Armanna indagato sia nel procedimento relativo all'Opl245, sia in quello relativo al cosiddetto 'depistaggio'".

"Fiducia nella magistratura, società estranea"

La società ha tenuto a ricordare "come, a luglio dello scorso anno, nell'ambito del procedimento Nigeria, sia stato depositato dal difensore di uno degli imputati un documento della Polizia giudiziaria di Torino in cui Vincenzo Armanna, in una conversazione con Piero Amara, al fine di volere estromettere alcuni manager di Eni dalla gestione delle attività nigeriane, rispetto alle quali nutriva interessi economici personali, prometteva di adoperarsi per causare l'emissione di avvisi di garanzia a loro carico da parte della Procura di Milano nell'ambito delle indagini su Opl245". "È nei fatti che Armanna, - prosegue la nota - immediatamente dopo, si recò alla Procura di Milano per rendere delle dichiarazioni, e tre giorni successivi alla data di tale incontro, e il giorno seguente alla deposizione di Armanna presso la Procura di Milano, furono emessi gli avvisi di garanzia nei confronti dell'AD e dell'ex AD di Eni. Fatto di estrema gravità, che conferma e va letto anche in relazione ai ripetuti tentativi di destabilizzazione della società perpetrati da Amara e Armanna, già querelati e denunciati dall'AD di Eni e dal Chief Services & Stakeholder Relations Officer della società per calunnia e diffamazione aggravata. Eni ha altresì accertato e denunciato per ogni verifica in giudizio il compimento di atti lesivi del proprio patrimonio da parte degli stessi soggetti oggi dichiaranti e di ulteriori partecipanti".
Come si legge sempre nella nota, "Eni è certa che gli accertamenti della magistratura inquirente, nella cui attività la società ripone assoluta ed incondizionata fiducia, consentiranno di chiarire ulteriormente l'estraneità della società e degli attuali manager interessati dal provvedimento alle ipotesi investigative avanzate allo stato. Per quanto riguarda l'ipotesi relativa al cosiddetto 'depistaggio' la compagnia petrolifera "ribadisce di essere parte lesa" e di voler continuare a perseguire "la tutela propria reputazione nei confronti di chiunque abbia già confessato un proprio coinvolgimento o che altrimenti risulti responsabile di eventuali ulteriori condotte censurabili in danno sia alla reputazione sia al patrimonio nella assoluta convinzione che le attività di indagine in corso non potranno che convergere sugli accertamenti interni svolti e sulle azioni di Eni già in essere".