Presunte tangenti Eni in Nigeria, giudice: "I vertici avallarono illeciti"

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L'ad di Eni Claudio Descalzi, imputato nella tranche dell’inchiesta a dibattimento (foto LaPresse)

Il gup Giusy Barbara nelle motivazioni delle condanne in rito abbreviato per i due presunti mediatori: "Impressionante sequenza di anomalie" che non trovano "alcuna logica giustificazione se non negli illeciti accordi spartitori"

La "procedura di acquisto" del giacimento petrolifero Opl 245 in Nigeria da parte di Eni, è stata "costellata" da "un'impressionante sequenza di anomalie", che "necessariamente devono essere state avallate dai vertici della società e non trovano alcuna logica giustificazione se non negli illeciti accordi spartitori". A scriverlo è il gup Giusy Barbara nelle motivazioni delle condanne in rito abbreviato per corruzione internazionale a due presunti mediatori. Nella tranche dell’inchiesta a dibattimento è imputato, tra gli altri, l'ad Claudio Descalzi.

La sentenza sulla presunta maxi tangente da 1 miliardo

A non lasciare alcun dubbio, secondo il giudice, è la "sequenza degli eventi descritti", come evidenziato nelle oltre 300 pagine di motivazioni delle condanne del 20 settembre scorso a quattro anni di reclusione per Obi Emeka e Gianluca Di Nardo, presunti mediatori, nigeriano e italiano, "e il contenuto delle comunicazioni". Il verdetto con rito abbreviato dello scorso settembre è la prima sentenza a Milano sulla vicenda della presunta maxi tangente da un miliardo e 92 milioni versata, secondo l'accusa, da Eni e Shell a politici e burocrati della Nigeria e, si ipotizza, anche a manager del gruppo italiano per l'acquisizione del giacimento. La decisione era arrivata all'indomani dell'assoluzione per la presunta tangente versata in cambio di commesse in Algeria, della compagnia petrolifera italiana, del suo ex ad Paolo Scaroni e dell'attuale numero tre, Antonio Vella, per la quale, invece, sono stati condannati Saipem e i suoi ex manager.

Gup: "Ai manager 50 milioni di dollari di tangenti"

È "provato al di là di ogni ragionevole dubbio", continua il giudice, "che effettivamente nell'ambito dell'operazione di acquisto della licenza di prospezione petrolifera Opl 245 alcuni manager del gruppo petrolifero italiano abbiano progettato e verosimilmente realizzato" il "piano criminoso di incrementare il prezzo pagato da Eni in modo da ottenere" la "restituzione in nero di una consistente somma di denaro, nell'ordine di 50 milioni di dollari, da spartirsi tra loro". Il gup rimanda poi "l'individuazione dei singoli responsabili di questa condotta illecita, perpetrata ai danni di Eni dai suoi dirigenti coinvolti nell'affare Opl 245" alla tranche dell'inchiesta che prosegue con rito ordinario. Al gup infatti "non compete, non essendo costoro imputati in questo procedimento celebrato con rito abbreviato".

Imputati l’ad Descalzi e il suo predecessore Scaroni

Per il caso Eni-Nigeria sono imputati con rito ordinario (processo in corso) l'attuale numero uno di Eni Descalzi (all'epoca dei fatti 'numero due'), il suo predecessore Scaroni, le stesse Eni e Shell, e altre 11 persone, tra cui anche Luigi Bisignani. Per il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro, titolari dell'indagine, sarebbe stato Scaroni a dare "il placet alla intermediazione di Obi", presunto mediatore della maxi tangente, "proposta da Bisignani" e Descalzi, all'epoca dg della divisione Exploration & Production Eni, sarebbe stato invitato "ad adeguarsi". Sia Scaroni che Descalzi, secondo l'accusa, avrebbero incontrato "il presidente" nigeriano Jonathan Goodluck "per definire l'affare". Descalzi, secondo quanto scritto dal giudice nelle motivazioni, sarebbe stato "prono di fronte alle pretese di Luigi Bisignani, cioè di un privato cittadino il cui nome era già emerso in alcune delle inchieste più scottanti e note della storia giudiziaria italiana".

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