I Barzini: storia di una famiglia, di un mistero e di una Milano piena di soprannomi

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Filippo Maria Battaglia

Andrea Barzini ricostruisce la storia di una delle dinastie giornalistiche più note d'Italia, svelando una tragica vicenda legata al campo di concentramento di Mauthausen. E durante l'ultima puntata di "Incipit", la rubrica di Sky TG24 dedicata ai libri, racconta anche il capoluogo lombardo  e la filosofia del "mica male"

Partiamo dalla storia nota. Si chiamavano entrambi Luigi, entrambi di cognome facevano Barzini, ed entrambi sono stati due dei più noti giornalisti del Novecento.

Il primo, Luigi senior (il padre), è stato per almeno due decenni l'inviato di punta del "Corriere della sera", a inizio secolo -  e il secolo è il Novecento - talmente noto e apprezzato per i suoi reportage da finire tradotto con quotidianità sul "Daily Telegraph". Il secondo, Luigi junior (il figlio), autore di corrispondenze, interviste celebri e, nel dopoguerra, di un libro di successo come "Gli italiani".

La storia che non si sa, o che comunque si conosce poco, è che queste due prime lame del giornalismo nostrano avevano un figlio (e un fratello) che di nome faceva Ettore, che di professione era agronomo e che morì a Mauthausen nel marzo 1945 dopo essersi unito alla Resistenza. 

 

Quella storia, sepolta dal dolore e dal senso di colpa di una famiglia troppo nota, è ora riaffiorata grazie ad Andrea Barzini, figlio di Luigi jr (e dunque nipote di Ettore), che ha deciso di raccontarla in un romanzo autobiografico pubblicato da Solferino ("Il fratello minore", pp. 412, euro 19).

"Ettore - racconta Andrea Barzini durante 'Incipit', la rubrica dei libri di Sky TG24 - era l’opposto sia di mio padre sia di mio nonno: non faceva il giornalista, non frequentava il potere, era un uomo schivo a cui piaceva la natura e l’aria aperta. E di quell'uomo mio padre, che pure era prodigo di aneddoti e di ricordi, in tutta la sua vita non ha mai detto nulla. 'Morto a Mathausen', e basta: su di lui, non c’era altra dicitura".

Luigi, Ettore e quella "gelosia all'incontrario"

La curiosità di Andrea Barzini nasce da qui, e da qui nasce l'indagine sulla vicenda tragica di un uomo, Ettore, descritto come idealista e sognatore. Con un padre (Luigi sr) che, dopo un passato glorioso nel giornalismo, accetta di compromettersi con il regime della repubblica sociale diventando direttore della Agenzia Stefani proprio per salvare il figlio. E con l'altro figlio (Luigi jr) che invece, di quel fratello, non sembra occuparsene affatto. 

Una reazione motivata dai guai familiari e professionali (tempo prima, Barzini jr era stato licenziato e tradotto a Regina Coeli per un complotto contro Mussolini) e dai rischi di una trasferta in una Milano accecata dalla violenza repubblichina, certo. Ma, a sentire Andrea Barzini, nata anche da altre ragioni, più profonde e indicibili, da ricercare - spiega - "nella strana posizione in quella famiglia di Ettore, il fratello minore che non eredita il giornalismo né l’ambizione e che non coltiva le conoscenze sociali e politiche".  Una gelosia, insomma, "ma una gelosia all’incontrario: mio padre, Barzini jr, un uomo famoso e di successo che frequentava tutti i grandi italiani era proprio geloso di quel fratello e della sua libertà".

Milano e la filosofia del "mica male"

Ed è qui che il libro di Barzini brilla, nel ritratto di una dinastia iperborghese alle prese con i dilemmi e i patemi di tutte le famiglie, dentro una Milano del primo Novecento in cui "tutti hanno un soprannome perché il soprannome è l’espressione della filosofia delle piccole cose", con i borghesi che siedono alla Scala e che non devono ostentare la ricchezza perché, semplicemente, non ce n'è bisogno. 

"Mio padre - dice Andrea Barzini -  ricordava sempre che quando incontrava Falck, il proprietario delle acciaierie, e chiedeva com'era andata il fatturato, l’altro rispondeva: 'Mica male'. Mai una volta, aggiungeva, che dicesse bene o benissimo". "Quel 'mica male' - commenta Barzini -  è una filosofia di cui ancora oggi, nello spirito lombardo, è rimasta per fortuna qualche traccia".

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