Avatar di James Cameron, parola chiave: spettacolarità

Il vero punto di forza di “Avatar” di James Cameron è sempre stata la spettacolarità della messa in scena. E, intendiamoci, questa spettacolarità può essere tradotta e declinata in modi differenti. Spettacolarità, per esempio, nel worldbuilding dell’universo narrativo. Ma spettacolarità anche nella resa grafica e visiva. Cameron ha sempre avuto in mente degli obiettivi specifici. Quando ha cominciato a lavorare ad “Avatar”, nonostante l’enorme successo di altri film che aveva diretto come “Titanic”, ha dovuto faticare per avere carta bianca dalla 20th Century Fox . E alla fine, come sappiamo, ha avuto ragione lui. A oggi, “Avatar”, uscito nel 2009, continua a essere il film che ha incassato di più nella storia del cinema, con circa 2.9 miliardi di dollari . Con “Fuoco e cenere”, il nuovo capitolo della saga, Cameron ha provato ad andare oltre: ha ripreso le stesse premesse e, in buona parte, gli stessi personaggi; e più che orizzontalmente ha provato a muoversi verticalmente, cioè in profondità, con la trama. Aggiungendo dettagli, spunti, luoghi particolari. Rendendo, se possibile, ancora più tridimensionale il mondo di Pandora. Cameron non si è mai trattenuto. Ha sempre cercato di trovare il modo più giusto, più corretto, per raccontare le sue storie. Se non esisteva la tecnologia per farlo, l’ha creata. Se non c’era la possibilità materiale di mettere in scena una determinata storia, ha saputo sfruttare al massimo quello che aveva a sua disposizione. Volendo descrivere Cameron con un’unica parola, potremmo dire che si tratta di un visionario. Uno degli ultimi del cinema mondiale. Anche perché, contrariamente a quelle che sono le tendenze del mercato, ha sempre scelto una posizione netta e difficilmente fraintendibile . Nella visione di Cameron, il cinema non è solamente un linguaggio: è uno spazio fisico da utilizzare nel migliore dei modi. Tecnicamente, artisticamente e anche commercialmente. I suoi film sono esperienze. Nel caso di “Avatar”, sono esperienze che si affidano in buona parte all’aspetto visivo, quindi a quello che compare a schermo, alle figure, alle singole ambientazioni, all’elaborazione dei personaggi e al loro sviluppo, e così via. Questo, però, non deve far passare in primo piano un altro messaggio. E cioè che Cameron punti esclusivamente sulla resa grafica dei suoi film. Con “Avatar” ha provato a decostruire il viaggio dell’eroe, ad appropriarsi di stilemi e archetipi narrativi; è andato a fondo, soprattutto nel primo capitolo della saga, di argomenti come il nostro rapporto con l’ambiente e la natura, come la guerra e il genocidio. Nei capitoli successivi, come in “Fuoco e cenere”, ha rilanciato: usando sempre gli stessi spazi e, in buona parte, gli stessi personaggi, ma con il chiaro obiettivo di dare un’ulteriore consistenza alla sua storia e al contesto in cui viene raccontata. Se all’inizio “Avatar” era un viaggio quasi solitario, di un uomo che deve riprendere il controllo della sua vita, adesso si è trasformato in qualcos’altro: in un racconto più corale ed ampio, con più voci e punti di vista, che esplora la famiglia come nucleo fondante della società. . La spettacolarità, nella filmografia di Cameron, rappresenta una sorta di filo rosso che tiene insieme opere differenti, con storie e personaggi differenti, che però cercano tutte la stessa cosa: coinvolgere lo spettatore, renderlo parte attiva del racconto e, soprattutto, dell’esperienza cinematografica. Cameron non è solo un artista e un artigiano, è pure un tecnico. E in quanto tecnico, è sempre pronto all’innovazione e allo studio di soluzioni differenti . Indubbiamente, visti i risultati precedenti dei film di “Avatar”, su di lui ci sono aspettative enormi, a volte – va detto – eccessive. Eppure è innegabile che “Avatar”, preso nella sua totalità, come saga, sia una delle storie più importanti ed epiche degli anni Duemila. Uno spartiacque, sotto diversi punti di vista, di quello che il cinema, oggi, è in grado di offrire se fatto per bene, seguendo una certa visione di messa in scena.

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Gianmaria Tammaro