Jagoda Czarnowska: "Così trasformo i miei sogni in storie e immagini"

Jagoda Czarnowska è un’artista decisamente originale e i suoi fumetti sono qualcosa di unico. Senza seguire una vera trama, procedono per immagini e visioni mutuate letteralmente dal mondo dei sogni, quelli dell’autrice polacca, che a Lucca Comics & Games 2025, dove era ospite del suo editore Hollow Press, ha raccontato come buona parte del suo lavoro avvenga proprio mentre dorme. Sono nate così opere come “Hummingbird Milk” e “Pink Mountain”, suggestive e perturbanti, capaci di interrogare e porre dubbi, perché, come ha raccontato a Sky TG24 Insider, “l’arte non deve mai dare risposte”. Molti dei suoi lavori nascono dai suoi sogni. Che rapporto ha coi sogni? Mi ispirano moltissimo, non c’è dubbio. E li aspetto sempre, facendo di tutto per ricordarmeli. Devo dire che ho una ottima memoria quando si tratta di sogni, ricordo tanti dettagli e tante sensazioni a essi connesse. E non li tratto semplicemente come una buona storia, qualche folle racconto o una ispirazione visiva, ma cerco anche sempre di cercarci un secondo significato in fondo, perché penso che dicano qualcosa della mia vita e delle mie emozioni, ma credo anche che in essi ci sia qualcosa di più universale, alcuni simboli ed emozioni che possono riflettersi in molte persone, posso raccontare a una persona un mio sogno e scoprire che anche lei lo fa spesso. Per questo penso che usarli come fonte di ispirazione sia buono: perché possono connettermi ai lettori a un livello profondo. Parla spesso dei suoi sogni con qualcuno? Lo faccio spesso col mio compagno. E queste conversazioni fanno emergere il ricordo di sogni fatti in altri giorni e magari arriviamo a una conclusione sul significato che hanno. Non cerco una spiegazione su internet, per capirci, penso sia qualcosa di molto personale e che dipenda da ciò che uno sta vivendo nella sua vita. E alla fine riesco a ricordarli meglio quando ne parlo. Alcuni dei suoi sogni hanno qualcosa di inquietante. Cosa la spaventa di più del mondo di oggi e del futuro? Penso che una delle cose che mi preoccupano di più sia il mio lavoro, perché devo sempre fare qualcosa per tenermi al passo, qualcosa che interessi qualcuno. Ed è impegnativo. “Hummingbird Milk” è un libro pieno di corpi distorti, irregolari. Cosa l’ha influenzata di più, dal punto di vista artistico, nella sua realizzazione? Di solito, quando creo, cerco di non farmi ispirare troppo da altri artisti e dalle loro opere. Certamente, a un livello inconscio, può accadere, ma penso che forse le influenze derivino più dal mondo dell’animazione che da quello del fumetto. Mentre creavo “Hummingbird Milk” ero ossessionata da “Æon Flux”, una bellissima serie animata di Peter Chang dove c’è questa agente segreta con un corpo veramente distorto, strambo, allungato. È qualcosa di molto originale, una forma che non ho visto in molte altre opere d’arte, nell’animazione o nel fumetto, e mi ha impressionato molto. “Pink Mountain” è invece una storia che nasce dal sogno di un film di Tarkovsky di cui non ricordavi il titolo, ma che eri convinta esistesse. E invece non esiste e sei finite a realizzare un fumetto su un film di Tarkovsky che semplicemente non c’è. Quanto e come il cinema e in particolare i film di Tarkovsky ti hanno ispirata? Sinceramente non saprei. In alcuni momenti della mia vita, mentre guardavo i film di Tarkovsky, credo di aver immagazzinato ricordi in qualche parte della mia testa. E all’improvviso, una notte, è venuto fuori. Quello che trovo straordinario nei suoi film è che forse non sono veramente surreali ma hanno delle atmosfere in qualche misura oniriche. Il surrealismo è diverso dall’estetica dei sogni. E qualche tempo fa credo di aver visto un breve documentario su Tarkovsky in cui lui diceva che la vita umana non è fatta per essere felici, non è il suo scopo. Probabilmente non è la citazione esatta, ma il senso è questo. Sono rimasta colpita da questo pensiero e volevo creare una storia in cui la felicità stessa non rappresentasse la più alta qualità della vita, dove ci sono cose più importanti, anche perché non possiamo essere sempre felici. La felicità stessa esisterebbe se la sentissimo sempre? C’è qualche altro regista il cui cinema l’ha ispirata nella sua vita? Parlando di sogni è impossibile non pensare a David Lynch. Le piace? Mi piace moltissimo anche se ho avuto un inizio difficile coi suoi film, perché non ero sicura di come vederli. È tutto onirico e devi accettare quel tipo di narrazione e anche sentirti come se tu stessa stessi sognando mentre lo guardi. Seguire il flusso. E all’inizio ho provato a vedere “Cuore selvaggio”, ci ho provato due o tre volte e ogni volta mi dicevo che era troppo strano. Ma un giorno la mia testa ha fatto un clic, e ho capito, e da quel momento ho iniziato a provare a guardare tutti i film di Lynch, ne sono rimasta veramente affascinata. Col mio ragazzo ho visto tutta “Twin Peaks”. Una cosa che trovo interessante del suo lavoro è che non cerca mai di dare delle risposte, pone delle domande, sono piene di dubbi. Come se ogni lettore potesse dare la propria interpretazione del suo lavoro. Come in un sogno. È un po’ come guardare un film di Lynch: bisogna calarsi dentro il suo sogno. In che modo si è sviluppato questo aspetto della sua poetica? Penso semplicemente che il processo artistico creativo e narrativo non dovrebbe mai dare risposte. Non sono una grande fan di andare al museo d’arte moderna in cui vengono descritte le opere per spiegare il punto di vista dell’autore e di solito è un qualche commento politico o che riguarda una determinata situazione. È qualcosa che trovo sempre piuttosto deludente che l’autore conti sul fatto che lo spettatore abbia una determinata e precisa interpretazione dell’opera. Non mi piace e non amo particolarmente nemmeno fare delle illustrazioni lineari. Volevo creare una narrazione che non fosse ovvia e che ciascuno potesse interpretare a modo suo e torno ancora una volta ai sogni per dire che a volte sogniamo qualcosa che ci meraviglia, che per noi è davvero importante, e il sogno termina senza una soluzione. In che senso? Per esempio qualcuno che soffre di solitudine può sognare una persona che gli si avvicina per dargli una spiegazione di questa solitudine, ma poi si sveglia senza la risposta. E allora cerchiamo di addormentarci di nuovo per provare a ottenere questa risposta così importante e non la otteniamo mai. Penso sia perché noi per primi non la conosciamo, e forse non esiste una sola risposta a questa domanda. Quando ha iniziato a disegnare e quando ha realizzato che sarebbe diventato il suo lavoro? Ho sempre disegnato qualcosa fin dai primi anni della mia vita. Era la cosa che mi piaceva di più fare da bambina e mi rilassava quando ero alle superiori e frequentavo la scuola d’arte. Quindi in un certo senso è sempre stato chiaro a me che era quello che avrei dovuto fare, che volevo fare. E ho sempre pensato che ne avrei fatto un lavoro. Hollow Press mi ha dato questa opportunità, perché quando hanno iniziato a pubblicarmi ho pensato che se loro credevano in me, forse potevo pubblicare anche in Polonia e trovare tanti altri modi per fare illustrazioni o raccontare storie, e che altri sarebbero stati interessati al mio lavoro. Com’è la situazione del fumetto polacco? Non come quella del fumetto italiano. I polacchi non amano collezionare fumetti o leggerli o andare agli eventi. La comunità di appassionati è molto più piccola di quella italiana e a volte è un po’ difficile comunicare bene con gli editori polacchi, che non sono nemmeno tantissimi. Di solito chi fa fumetti si conosce o magri se così non è conoscono qualcun altro che sa della loro esistenza. È tutto molto dritto e ristretto, ma penso che negli ultimi anni le cose stiano cambiando in meglio. Tanti decidono di autopubblicarsi, per esempio, con lavori anche molto vari. Sicuramente è più semplice trovare delle opportunità nel resto d’Europa che in Polonia, ma questo è un aspetto che voglio esplorare nei prossimi mesi, non so ancora se al momento ho una panoramica esaustiva. Sta già lavorando a qualcosa di nuovo o è ancora in attesa che arrivi il prossimo sogno? Ho una sorta di enorme biblioteca dei miei sogni nella mia testa, non ho bisogno di aspettare l’arrivo del prossimo, ma loro comunque arrivano. Ho molte idee e ho un vecchio fumetto non ancora concluso che ancora mi sembra buono. Ho pensato che posso provare a terminarlo, perché ci ho messo tanto impegno nel realizzarlo e sarebbe un peccato se nessuno riuscisse mai a vederlo. Mi piacerebbe cercare qualche editore e magari provoare a pubblicarlo in Polonia. Metà è già pronto, non sarebbe un grande lavoro finirlo, o almeno lo spero. Il problema è che mentre sei nel bel mezzo del lavoro, questo continua a cambiare, improvvisamente scopri che c’è ancora un sacco di lavoro da fare.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Jagoda Czarnowska: "Così trasformo i miei sogni in storie e immagini"

Gabriele Lippi