Come scoprire la pittura su pietra

È uno dei capitoli probabilmente meno noti della Storia dell’Arte, la Pittura su Pietra, che dalla prima metà del ‘500 si è inoltrata sin dentro il 1600, regalandoci opere di grade pregio. Un’esposizione di circa 60 opere, in corso all’Accademia Carrara a Bergamo, fino al 6 gennaio, ne racconta la nascita, lo sviluppo, fino al suo declino. Si intitola Arte e natura. Pittura su pietra tra Cinque e Seicento a cura di Patrizia Cavazzini, con la collaborazione di Maria Luisa Pacelli. Fu Sebastiano del Piombo a inventarne la tecnica, seguito da altri prestigiosi artisti, con una diffusione che avvenne principalmente tra il Veneto, il Lazio e la Toscana. La pittura su pietra fu materia e metafora, forte all’apparenza, eppure, passibile di deterioramento alla prova del tempo. Maria Luisa Pacelli, storica dell’Arte Di che mostra si tratta? Accademia Carrara ospita, fino al 6 gennaio 2026, la mostra Arte e Natura. Pittura su pietra tra ‘500 e ‘600. Si tratta di una mostra che racconta di una tradizione pittorica molto particolare, quella della Pittura su Pietra, inventata da Sebastiano del Piombo, attorno al terzo decennio del 1500. Una tradizione che ha avuto uno sviluppo e una fortuna che è durata circa un secolo, quindi, si è inoltrata nel secolo successivo, nel 1600. La mostra inizia con l’invenzione di Sebastiano del Piombo, di cui presenteremo un ritratto straordinario del pontefice Clemente VII. Di fianco a questa una lettera dell’artista a Michelangelo, che racconta la sua intenzione di dipingere su pietra. Le pitture su pietra, realizzate nel corso del ‘500, hanno soprattutto soggetti cristologici ma anche ritratti e in mostra vedremo proprio dei ritratti di Sebastiano del Piombo, di Daniele da Volterra, di Leonardo Grazia, assieme a opere dei Bassano; di Bassano Padre ma anche del resto della bottega che a questo linguaggio dedicarono molta attenzione, molte opere. Per quanto riguarda la parte seicentesca, che abbraccia diverse sale della mostra, essa si sviluppa a partire dai supporti, perché ciò che rende davvero straordinario questo linguaggio, è l’interazione tra la pittura e il materiale e, quindi, le sezioni della mostra sono divise in pietre scure – diaspri e Paesine e, infine, pietre preziose. C’è spazio per la didattica? In questa stagione espositiva Accademia Carrara ha dedicato un progetto anche ai bambini. Questo progetto si incentra sulle tecniche artistiche, in particolare sulle tecniche della Pittura e a questo tema è dedicato uno spazio in cui i bambini potranno sia sperimentare visivamente le diverse tecniche della Pittura, sia sperimentare i materiali: toccandone i supporti, verificandone la consistenza, la texture. Questo - dal nostro punto di vista - è molto importante, perché per generazioni abituate a fruire l’Arte, a fruire la realtà attraverso dei dispositivi elettronici, crediamo che questo riaccostarsi alla materia, avere un contatto ravvicinato con l’opera nelle sue tre dimensioni, sia un’esperienza significativa. Inoltre, servirà a noi, a noi come museo, come istituzione, per avvicinarci alle esigenze dei più piccoli. Quindi, anche per noi è una sperimentazione, per offrire delle proposte sempre più adatte anche a diverse fasce d’età, come i nostri giovanissimi visitatori. Qual è l’opera che sorprenderà tutti? A mio parere sarà il ritratto di Lorenzo Lotto, un ritratto che – per la prima volta – faremo vedere soprattutto nel retro. Nel retro, dove è dipinta una finta pietra e, quindi, immagino che non ci si aspetterà di vedere questo dipinto così celebre che ci accoglie in mostra dal suo retro. Il Ritratto di giovane di Lorenzo Lotto appartiene a un’altra epoca, rispetto a quella a cui abbiamo dedicato la mostra. È un’opera realizzata tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500. La ragione per cui è stata inserita è che presenta sul retro una pittura in finto marmo, sembra un diaspro, in realtà non sappiamo bene, probabilmente è una pietra inventata. Le ragioni per cui i pittori, all’epoca in cui Lorenzo Lotto ha dipinto questo ritratto, dipingevano delle superfici in finta pietra, sul retro delle proprie tavole, sono analoghe a quelle che poi muoveranno gli artisti a sviluppare la tradizione della Pittura effettivamente dipinta su supporti lapidei. Patrizia Cavazzini, curatrice della mostra Perché gli artisti cominciano a dipingere su pietra? Cominciano a cercare un modo di fare durare la Pittura in eterno, in modo da potere rivaleggiare con la Scultura sotto questo aspetto ed è Sebastiano del Piombo che reinventa la tecnica di usare l’olio su pietra che era presumibilmente nota nell’antichità. Come dipingeva Sebastiano del Piombo? Sebastiano del Piombo usava una preparazione sottilissima, per fare aderire i pigmenti alla superficie liscia e dipinse anche un enorme altare su pietra – che è la Natività della Vergine a Santa Maria del Popolo – dando origine a una lunga tradizione di pale d’altare dipinte su pietra, che sono per ovvi motivi intrasportabili. Chi collezionava le pitture su pietra? Varie persone collezionavano le pitture su pietra. Certamente, i più grandi collezionisti del ‘600 le collezionavano; di sicuro nell’ambiente di Clemente VII, nel ‘500, ci fu un enorme entusiasmo per la tecnica e il Papa la favoriva: ne abbiamo varie testimonianze scritte. I Medici, a partire da Cosimo I, erano molto appassionati di tutti i tipi di pietre e le collezionarono tutti, in particolare Ferdinando II; Scipione Borghese ne aveva molte, che ancora sono a Villa Borghese; Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII, ne commissionò decine e decine, però, non le teneva per sé, le usava più che altro come doni diplomatici. Anche collezionisti minori, personaggi di cui sappiamo poco, collezionavano opere su pietra, perché non è necessariamente vero o non è sempre vero, che la pittura su pietra fosse costosa. Per esempio, due dipinti in mostra, due Resurrezioni di due pittori veronesi, sappiamo che erano appartenute in precedenza a un collezionista di cui non sappiamo granché, che vendette una villa e suoi dipinti al Cardinale Scipione Borghese. Perché termina in fretta, la stagione della pittura su pietra? Per vari motivi. Il primo è che il mito dell’eternità della Pittura su pietra si rivela illusorio. Specialmente, quando grandi altari su lavagna, che erano stati creati per la tomba di San Pietro, nella Basilica di San Pietro, si deteriorano molto in fretta a causa dell’umidità: questo è uno dei motivi che fa perdere di interesse. Secondo, perché anche il gioco di trovare una metafora, un significato, comincia ad annoiare, è un po’ ripetitivo. Per esempio, Francesco Barberini, soltanto una volta commissionò un dipinto di Sant’Agata, su agata, mentre era cardinale di Sant’Agata. Inoltre, successe che – una volta che l’interesse si spostò di più sul manufatto di contorno, non vennero più chiamati pittori dal grande talento ma copisti o pittori di secondo ordine, quindi, la pittura su pietra perse di attrattiva. Qual è l’opera in mostra che più ci sorprenderà? È una scelta difficile, però, per esempio, possiamo pensare al Faro di Alessandria, che è creato da varie sezioni di Pietra Paesina, per creare una scena che viene copiata da un’incisione fiamminga ma è molto interessante vedere come le inclusioni della pietra, le fratture della pietra, vengono usate sia per rappresentare delle strutture piramidali, così alludendo all’Antico Egitto, sia per mostrare una colonna sopra alla quale c’era una statua di Pompeo che esiste ancora oggi ad Alessandria. Quello della pittura su pietra è da considerarsi un argomento di nicchia? Questa mostra sembra trattare un argomento di nicchia, una tecnica pittorica che dura poco più di cento anni e che si sviluppa solamente in alcuni centri della penisola italiana: a Roma, a Firenze e nel Veneto. In realtà non è così, sono opere affascinanti, che possono attrarre chiunque, perché l’attrazione di questi dipinti è la profonda integrazione tra il soggetto e il supporto, tanto in termini estetici, quanto in termini di significato: la pietra quasi sempre è essenziale per comprendere l’opera. Sebastiano del Piombo, di cui abbiamo in mostra il meraviglioso ritratto di Clemente VII, inventò la tecnica poco prima del Sacco di Roma del 1527 e alla devastazione del sacco, la Pittura su Pietra dovette il suo successo. Questo, perché in quel periodo venne messa in luce la fragilità di tele e tavole, quindi, la pietra che durava per sempre, con la sua implicazione di forza, robustezza ed eternità, ottenne un grande favore presso artisti e committenti. Come si articola la mostra? La mostra si articola per materiali, partendo dalle pietre scure, dalla lavagna e i marmi neri, con una sezione iniziale sul ‘500, in cui abbiamo – oltre a Sebastiano del Piombo, due bellissime opere di Daniele da Volterra, che sono due ritratti e una splendida crocefissione di Paolo Veronese. Poi, abbiamo una sezione dedicata alle pietre stesse, in litoteche dipinte e reali, con la tecnica artistica del commesso fiorentino, che ci fa vedere come le pietre pregiate venivano usate. Le altre sezioni seguono uno sviluppo anche cronologico, perché l’uso della pietra si diversifica nel tempo. Fino alla fine del ‘500 sono soprattutto le pietre nere o quasi esclusivamente le pietre nere e avevano una implicazione non soltanto di eternità, ma anche di valore e verità, perché questi materiali venivano usati per saggiare la purezza dei metalli preziosi. Un uso interessante del significato metaforico di questi materiali è, per esempio, nell’immagine guida della mostra Intelletto, Memoria e Volontà di Alessandro Turchi, un pittore veronese che visse a lungo a Roma, in cui lui celebra il proprio genio pittorico e la pietra di paragone, il marmo nero, ci svela quanto vera e sentita fosse la sua attrazione per la pittura. Spesso ci può essere un contrasto tra l’eternità del supporto e la fragilità di quello che vi è rappresentato, come nel caso della bellezza femminile o delle nature morte, a cui è dedicata una sezione con degli splendidi esempi di Mario de’ Fiori. Dalla fine del ‘500 i committenti e pittori vennero più attratti da pietre venate e colorate, in cui il gioco consisteva nell’integrare l’abilità del pittore con l’opera della Natura. Dalla Galleria Borghese abbiamo la famosa Gerusalemme liberata di Antonio Tempesta, dove è la Pietra Paesina, un’umile pietra della Valle dell’Arno, che crea il paesaggio e le mura della Gerusalemme assediata. Qui, il pittore interviene con pochissimi e rapidissimi colpi di pennello per terminare la storia. Lo stesso avviene per un’altra pietra della Valle dell’Arno, che è chiamata Alberese o Pietra Dendritica, sono delle pietre chiare, in cui l’inclusione di ossido di manganese, crea l’effetto della vegetazione e anche qui è inevitabile chiedersi che cosa è stato dipinto e cosa sia opera della Natura. Nella stessa sezione abbiamo anche alcuni esempi di diaspri siciliani, tra cui uno molto raro, un diaspro giallo e verde a righe parallele, che a Roma era usato quasi esclusivamente dalla famiglia Borghese; mentre l’ultima sezione della mostra è dedicata a pietre più pregiate. Ci sono gli alabastri antichi, che sono tutte pietre che non venivano più cavate nel ‘500 e ‘600, ma che derivavano, in generale, da monumenti della Roma pagana. Quindi, sono pietre pagane, translucide, che nella Roma della Controriforma venivano convertite a uso cristiano. Troviamo per lo più temi cattolici, come l’Adorazione dei Magi e inusuale è lo splendido altarolo di Antonio Tempesta a due facce, entrambe dedicate a una Santa Caterina: probabilmente, un oggetto che una novizia di nome Caterina, portò con sé in un monastero. Nella stessa stanza vediamo ametiste e lapislazzuli, materiali più rari e pregiati, che venivano lavorati da gioiellieri chiamati a integrare il proprio lavoro con quello dei pittori. La pittura su pietra, a un certo monumento, conosce il declino? Per quanto splendidi e meravigliosi, l’uso di questi materiali come ametiste e lapislazzuli – in un certo senso – contribuì alla fine della parte più interessante della tecnica della Pittura su Pietra. A mano a mano, l’interesse si concentrò sulle cornici, elaborati manufatti in cui ebanisti, argentieri e tagliatori di pietre, collaboravano per creare altaroli o acquasantiere, il cui costo era infinitamente superiore alla pittura che contenevano. A partire dagli anni ’40 del ‘600, si può notare un affievolirsi dell’interesse per questa tecnica, non uniformemente, non ovunque nello stesso momento. Per esempio, a Firenze continuò più a lungo l’interesse per pietre nere, lucidate, quasi specchiate, che servivano a rappresentare scene infernali o bagliori di fuochi e che ci dobbiamo immaginare in stanze illuminate dalle candele, che si sarebbero riflesse sulla loro superficie, animandola tutta e quasi creando un effetto vivo del fuoco. Quindi, in tutta la mostra rimane fondamentale osservare l’interazione tra la materia e il soggetto e lo spettatore deve interrogarsi su quali possono essere i rapporti tra l’iconografia e i significati della pietra; spettatore che viene spesso coinvolto, perché queste superfici lucide e specchiate, lo fanno diventare protagonista delle scene stesse; per esempio, in opere profondamente devozionali, come la Resurrezione di Lazzaro, di Alessandro Turchi o ancora la Crocefissione di Veronese.

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Sabrina Rappoli