Ken Follett: "Vi racconto la mia Stonehenge"

Abilissimo nel raccontare storie di persone del popolo che compiono gesti fuori dal comune, Ken Follett, classe 1949, ci porta in questo caso tra pastori, cacciatori e cavatori di selce, facendoci fare un salto indietro nel tempo, arrivando addirittura al Neolitico. Tra conflitti, resilienza, desiderio di cambiamenti, spiritualità, amore, Follett dipana una vicenda che vede nella costruzione di Stonehenge il suo punto focale, uno dei siti archeologici più famosi al mondo, eppure, ancora avvolto nel mistero. Un romanzo epico, come nello stile di questo amatissimo autore, dalla cui geniale fantasia sono nate opere quali “La cruna dell’ago”, “I pilastri della terra”, “La Trilogia del secolo”. Joia, la protagonista femminile de "Il cerchio dei giorni", è una leader, una donna dalla vitalità contagiosa, bella e carismatica; un personaggio che tutti sono disposti a seguire, anche nelle imprese più ardue, proprio in virtù del suo innato carisma. Con lei – tra coloro che si aggirano nella futura Stonehenge, ci sono sua sorella Neen e Seft, che di quest’ultima è innamorato. Pubblicato in Italia da Mondadori, "Il cerchio dei giorni" ci mostra l’isola d’oltremanica al tempo in cui ancora non sapeva che sarebbe diventata Gran Bretagna; le sue diverse popolazioni, le eterogeneità, i conflitti. Un po’ storico, un po’ immaginato, il nuovo romanzo di Ken Follett appassionerà gli amanti di questo prolifico autore, che all’attivo ha 38 libri, con oltre 198 milioni di copie vendute in 80 Paesi del mondo. Follett vive nell'Hertfordshire, in Inghilterra, con la moglie Barbara. Hanno cinque figli, sei nipoti e tre labrador. Lo abbiamo incontrato a Roma, in occasione della presentazione in Italia del suo libro. Nello scrivere un romanzo ambientato intorno al 2500 a.C., come ha bilanciato la ricerca storica con la narrazione immaginativa, specie considerando la scarsità di fonti scritte dell’epoca? Ogni romanzo storico si basa su fatti reali, a cui si aggiunge l'immaginazione dell'autore. La differenza, nel caso di Stonehenge, è che ci sono pochissimi fatti, ma l’elemento cruciale è che l’immaginazione dell’autore deve comunque essere collegata ai fatti noti. Non può essere come un fantasy di fantascienza, con draghi, incantesimi e cose del genere. Deve essere qualcosa che nasce dalle informazioni reali, anche se io ho usato la mia immaginazione per ampliarle. Quindi, in realtà, è lo stesso processo di qualsiasi romanzo storico, solo con un po’ più di immaginazione e un po’ meno fatti. La protagonista femminile del suo romanzo si chiama Joia, una figura visionaria che sogna di unire le tribù attraverso la costruzione di un monumento. Cosa l’ha ispirato nella sua creazione e che cosa rappresenta per lei? Joia è la persona che convince tutti ad andare a Stoney Valley, trovare la pietra gigante e riportarla a Stonehenge. E ci sarebbero volute almeno 200 persone per farlo, quindi avevo bisogno di un personaggio con carisma, un leader che la gente avrebbe seguito volentieri, con entusiasmo. Joia è quindi molto affascinante, piuttosto bella, ed è anche molto intelligente, e così, quando dice "ho un’idea", tutti la seguono. Stonehenge resta un mistero per l’archeologia. Nell’elaborare la sua versione delle sue origini, quali teorie o indizi archeologici hanno maggiormente influenzato la sua narrazione? C'è una teoria archeologica che dice che Stonehenge fosse, tra le altre cose, un calendario. Le persone di Stonehenge dovevano avere un calendario, perché sapevano quando era il solstizio d’estate e il solstizio d’inverno, ma non avevano carta e non sapevano scrivere. Quindi, come potevano tenere un calendario? Beh, un’idea è che le pietre di Stonehenge formassero il loro calendario. Un’idea è che le pietre di Stonehenge costituissero un cerchio di 30 pietre erette con 30 traversine sopra. È facile immaginare che potessero rappresentare 30 settimane in un anno o 30 giorni in un mese, ma tutto quello che dovevano fare era, per esempio, posizionare un vaso davanti a una di queste pietre il primo giorno dell’anno e il secondo giorno spostarlo o mettere un altro vaso; ci sono molti modi in cui questo poteva essere fatto. Ma il fatto fondamentale è che c’era un certo numero di pietre che non cambiava mai e che sarebbero sempre rimaste lì. E ho pensato che fosse una teoria molto convincente. Non è certo accettata da tutti gli archeologi, ma a me sembra sensata, e quindi l’ho usata nel libro. Il conflitto fra tribù, la scarsità di risorse e le divisioni sociali sono temi centrali nel romanzo. In che misura vede parallelismi con le sfide sociali contemporanee? Ci sono sempre stati conflitti tra diverse comunità e c’è sempre stata la guerra. In tutta la storia della razza umana, c’è stata la guerra. Lo sappiamo perché gli archeologi scavano scheletri di diversi periodi storici e trovano che le persone sono morte a causa della violenza, e a volte molte persone sono morte per violenza nello stesso luogo, e quello è uno scontro. Quindi non è una questione di Stonehenge che rifletta l’età moderna. Il triste fatto è che la razza umana non è cambiata. C’è sempre stata la guerra. La costruzione di un monumento come Stonehenge è uno sforzo collaborativo enorme. Quali sono alcune delle difficoltà che ha incontrato nel rappresentare un progetto simile? Immagina una delle pietre di Stonehenge. È lunga sette o otto metri, pesa 25 tonnellate ed è sdraiata a terra nel bosco. La prima cosa che devono fare è metterla in verticale. Come fanno? In realtà è davvero difficile. È molto grande e molto pesante, e non hanno strumenti di ferro. Tutto ciò che hanno sono rami d’albero. Questo è stato il primo problema che ho incontrato, e bisogna ricordare che le persone di Stonehenge non l’avevano mai fatto prima. Non è che avessero già un metodo o qualcuno che potesse dire: "Ecco come si fa". Stavano inventando tutto a mano a mano che andavano avanti e anch’io stavo inventando mentre ricostruivo il processo che loro devono aver affrontato. Come può una cosa del genere essere possibile? E questo vale davvero per molti dei problemi che si sono trovati ad affrontare. Uno dei problemi che si trovano ad affrontare, per esempio, è che all’inizio, mentre trascinano la pietra, si trovano a salire su un pendio. A un certo punto si fermano per riposare, e lì si rendono conto che non si dovrebbe mai fermarsi in salita, perché poi è molto più difficile far ripartire la pietra. Il racconto è pieno di ostacoli di questo tipo, piccoli ma concreti, che devono essere risolti. E scrivendo il libro, ho dovuto fare la stessa cosa: capire, passo dopo passo, come tutto questo poteva davvero essere possibile. Nei suoi lavori precedenti ha spesso scritto su epoche medievali o storiche più recenti. Cosa l’ha spinta ad andare “ancora più indietro” nella preistoria, e cosa ha imparato da questa esperienza? Sono stato decisamente affascinato da Stonehenge. Chi lo ha costruito? Come è stato costruito e perché è stato costruito? Diciamo che è stato il monumento più che il periodo ad attrarmi. Ho sviluppato un grande interesse per quel periodo storico. È piuttosto affascinante pensare a una civiltà che era intellettualmente abbastanza sofisticata, studiava le stelle, i movimenti del Sole e della Luna, eppure, disponevano di così poca, di così scarsa tecnologia: nessun metallo, non avevano coltelli, soltanto pietre, non praticavano la tessitura. Non avevano abiti in tessuto, non ne avevano di lana e non avevano di cotone, solamente abiti in pelle. Eppure, riuscirono a realizzare qualcosa di molto, molto speciale. Costruirono Stonehenge ed è per questa ragione che me ne sono interessato.

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Ken Follett: "Vi racconto la mia Stonehenge"

Sabrina Rappoli