Una raccolta di poesie da strappare per superare il dolore e abbracciare se stessi

Cinque capitoli fanno da punti di riferimento nel complesso mondo delle emozioni. Ognuno contiene illustrazioni e poesie, boe a cui appigliarsi quando il peso dei pensieri rende troppo stanchi per stare a galla. Pagine da strappare per non strapparsi è il terzo libro del giovane scrittore di Matera, dopo Biscotti della sfortuna e Frutti di male. Il Poeta della Serra, il cui nome rimanda al quartiere in cui è cresciuto, Serra Venerdì, è conosciuto soprattutto per le sue poesie urbane scritte su cassonetti, pali e altri luoghi inaspettati e da sempre unisce scrittura, attivismo e arte di strada per portare la poesia dentro la vita quotidiana. Questa volta ha deciso di confrontarsi con un nuovo genere, il journal, per stimolare i lettori a una ricerca di sé attraverso le emozioni, “luoghi dell’essere in cui si stati d’animo, che spesso e volentieri ci sommergono”. Pagine da strappare per non strapparsi non è un volume da leggere ma da sfogliare senza ordine, alla ricerca della “pagina giusta al momento giusto”. Lo scrittore ci invita così a materializzare le emozioni in forma di aeroplani di carta, labirinti, alberi illustrati su pagine da accartocciare, piegare, strappare e bruciare, gesti catartici per far riflettere ma anche liberarci da tutto ciò che ci ha fatto soffrire. Da dove nasca la necessità di un libro sulle emozioni? Dopo i primi due, che sono raccolte di poesie, avevo in mente un terzo libro ma volevo qualcosa di diverso. Per la narrativa non mi sentivo pronto, avevo pensato a un libro-game, un genere che andava forte negli anni Ottanta, ma in versione poesia. Ho provato ma non ero soddisfatto di quello che stava uscendo fuori. La scelta è quindi ricaduta sul journal, in Italia non molto popolare, ma che all’estero va parecchio. Il processo creativo è stato molto stimolante, sono andato oltre la semplice organizzazione di poesie in una raccolta, è stato un esercizio di ricerca interiore. I capitoli dei libri prendono i nomi di alcune emozioni, come le hai scelte? Sono tra le principali emozioni che proviamo secondo molte teorie psicologiche, anche se di base sono molte di più. I nomi sono dati più per un fine pratico perché, in realtà, quando proviamo un certo stato d’animo, non è che le emozioni abbiano confini così definiti, sono tutte fuse le une con le altre, come i colori che si formano a partire da sfumature diverse. Il libro è diviso in due parti: la prima dedicata a paura, rabbia e tristezza; la seconda in cui ci sono gioia e amore. Le emozioni però non vanno divise in negative e positive. Per esempio, la paura è uno stato d’animo ancestrale che serve come spia di allarme per qualcosa che non va, per preservare la nostra esistenza, ne parlo nella poesia Paura del buio; o anche la gioia, in una delle domande presenti del libro faccio notare come la ricerca spasmodica di questo stato interiore possa essere patologica. Mi è piaciuto molto poter raccontare tutte queste sfumature. Vorrei però che fosse chiaro che questo libro non è un sostituto della terapia. Se uno sente di avere un problema che non riesce ad affrontare da solo, chiaramente il libro non è la soluzione, è uno strumento per esplorare meglio noi stessi, laddove la problematica non è patologica. È un punto di partenza per cercare di ascoltarsi un po’ di più. Ti ha portato a nuove consapevolezze su te stesso? Sì, ho dovuto prendere le poesie e riflettere per incasellarle nei capitoli, capire a quale emozione appartenessero di più. È come se avessi fatto il processo inverso rispetto a quello del pubblico: da ciò che avevo scritto allo stato d’animo. La conclusione però è sempre la stessa: le emozioni sono qualcosa di davvero complesso. Il libro ci invita a riflettere sui nostri stati d’animo, descrivendoli, rispondendo a domande, ma anche a svolgere altre attività: bruciare una pagina, creare un aeroplano di carta da far volare via, costruire una scatola di paure e schiacciarle. Che funzione hanno questi esercizi? Con gli esercizi ho voluto stimolare una riflessione passando per un processo catartico: materializzare le proprie sensazioni attraverso la scrittura o dando a queste la forma di un oggetto fisico significa intrappolarle e lasciarle lì davanti a te. Far volare via le emozioni su un aeroplano di carta, schiacciarle o bruciarle aiuta simbolicamente a liberarsi delle cose che ci feriscono. Per questo il titolo non è pagine “da scrivere” ma pagine “da strappare”, credo fortemente che questo gesto possa aiutare a mettere in fila i pensieri e contrastare un malessere di fondo. Tutte le emozioni sono degne di essere vissute? Assolutamente sì. Se non avessimo provato tutte le cose che abbiamo provato fino a oggi, non saremmo chi siamo. Siamo debitori verso ciò che abbiamo vissuto e verso le sue conseguenze, anche se queste sono state emozioni che ci hanno fatto stare male. Non è solo un libro da leggere e con cui interagire, nelle pagine troviamo anche alcune illustrazioni, qual è stato il processo creativo? Sono opera di Francine Draws, la mia illustratrice di fiducia, nonché mia sorella. Fino a oggi ha illustrato almeno 250 delle mie poesie. È come se entrasse in ciò che scrivo e ne uscisse con un volto, una forma fisica che racchiude perfettamente quello che volevo esprimere. Questa volta sono felice che abbia avuto anche più spazio per poter disegnare le immagini che segnano l’inizio dei capitoli. Ci sono poesie di questa raccolta a cui sei più legato? Le poesie che preferisco sono I demoni , Data di scadenza , Sul ciglio della veglia , Crisalidi , La leggenda degli abbracci , L’amore è una città , Braci e Ma tu a scrivere me . Insomma, te ne ho dette parecchie… ma sono quelle che, per me, hanno un valore affettivo e anche stilistico. Da autore, ciò che mi è più caro spesso lo percepisco anche come meglio riuscito, anche se magari non è così. Credo comunque che il tempo sia un buon metro di giudizio: una poesia è davvero valida se riesce a colpirmi ancora dopo anni. Spesso riguardando i testi scritti in passato provo un certo distacco, o addirittura un po’ di imbarazzo, segno che nel frattempo sono cambiato, magari cresciuto. È come un continuo confronto con se stessi: ciò che oggi mi sembra il meglio, domani potrebbe sembrarmi solo un inizio. A un certo punto del libro inviti i lettori a scrivere e inviarti a loro volta delle poesie. Cosa ti aspetti venga fuori? La poesia, per come la vedo io, è un’eredità condivisa. Nessuno inizia a scrivere versi dal nulla. Lo fa perché ha letto qualcosa che l’ha colpito, che gli ha fatto venire voglia di esprimersi nello stesso modo. È successo anche a me: sono partito leggendo le poesie di strada di altri ragazzi, un mix tra versi e graffiti, molto vicino all’estetica hip-hop. Quelle scritte sui muri, a volte sconclusionate, a volte piene d’amore, mi affascinavano. Scoprire che potevano essere poesia è stato uno spartiacque. Per questo ricevere poesie da chi ha letto le mie è qualcosa che mi emoziona, al di là della qualità del testo. Sapere di aver ispirato qualcuno è il mio obiettivo più grande. Per me, la poesia è come un fiume: ti ci immergi perché hai visto qualcun altro farlo prima, e quando lo fai, un po’ dell’acqua che ha toccato lui tocca anche te. E quel tocco si riflette nel tuo modo di scrivere.

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