Brassaï, un occhio su Parigi negli scatti in mostra a Bassano del Grappa

Andare a Bassano del Grappa per vedere Parigi. Non è una boutade, una battuta, insomma; bensì, ciò che ci riserva la visita alla mostra Brassai. L’occhio di Parigi, dedicata al grande artista ungherese di nascita e parigino d’adozione, che all’anagrafe si chiamava Gyula Halasz e che prese lo pseudonimo di Brassaï in onore di Brasso, la città dell’Ungheria dove era nato nel 1899. In esposizione ci sono circa duecento stampe d’epoca, insieme con sculture, documenti e oggetti appartenuti al fotografo. Philippe Rybeirolles - studioso e nipote del fotografo che detiene un’inestimabile collezione di stampe di Brassaï - e Barbara Guidi sono i curatori della mostra, che andrà avanti fino al 21 aprile, allestita al Museo Civico del paese in provincia di Vicenza. Così Philippe Rybeirolles: “Brassaï, tramite le immagini raccontava una storia ma le sue immagini sono delle vere e proprie costruzioni mentali ed è per questo che è davvero interessante. In un paio di foto in mostra c’è una storia incredibile. Lui si era appostato per fotografare dei “cattivi ragazzi” che appartenevano a una banda, una banda che si chiamava la banda del “Grand Albert”. A volte, per fotografarli, doveva addirittura pagarli, perché temeva che potessero denunciarlo: si trovava in situazioni pericolose a volte, aveva già ricevuto minacce di morte. Dunque, non era sempre facile. C’erano anche problemi di luce, perché la luce – in queste foto - è la luce naturale delle strade di notte. Brassaï, una volta che aveva completato le foto ritornava in albergo ed è quello che succede anche con questa foto, con questi “cattivi ragazzi” che stanno complottando qualcosa in una via di Parigi. Dopo aver scattato la foto ritorna in laboratorio e comincia a svilupparla ed è soltanto quando comincia a sviluppare la foto che si accorge che ci sono due personaggi a destra dell’inquadratura, che non aveva assolutamente visto mentre stava scattando la foto dei tre ragazzi. Dunque, Brassaï, in quel momento, si rese conto di quanto fosse stata pericolosa questa situazione, non avendo notato gli altri due. Però, voleva fortemente fare una foto, cioè, trarre qualcosa da queste immagini; per cui decise di realizzare due diverse fotografie. Sono due diverse fotografie, anche se nell’angolo c’è un lembo di giacca che appare. Compose la seconda foto alla fine e utilizzò il vuoto che c’era nella foto stessa, per realizzare questa messinscena: ritoccò i bordi. A volte, quando ero bambino, mi faceva delle cattiverie: mi faceva ritoccare con la china tutte quelle parti delle fotografie che si erano sbiancate con un pennellino molto fine. In realtà, lui stesso lo faceva, lui stesso dipingeva le foto, le ritoccava per ottenere l’effetto che voleva. Per questa ragione, l’invito ai visitatori della mostra è di avvicinarsi alle immagini per notare questi piccoli ritocchi. Brassaï decise che le sue foto sarebbero rimaste soltanto queste, che non sarebbe stato possibile fare ulteriori stampe dai negativi. Per questo il suo lavoro è davvero importante e va guardato da vicino: avvicinatevi alle foto, apprezzerete meglio il lavoro totalizzante di artista che ha fatto”. Philippe Rybeirolles prosegue nel suo racconto: “Brassaï era un ungherese, era nato in Transilvania nel 1899 e all’età di 4 anni era arrivato a Parigi con suo padre, un professore di francese. Dopo qualche tempo, decisero di ritornarono in Ungheria e da lì di andare a Berlino e poi, ancora a Budapest. Insomma, furono anni molto movimentati. Fino a quando, nel 1924, Brassaï approdò nuovamente a Parigi, città che amava moltissimo. Nella capitale francese cominciò ad andare in giro per esplorarla, per illustrarla e mostrare ciò che non era banale. Voleva far vedere la bellezza della Ville Lumière e Parigi fu il terreno su cui Brassaï si formò. Lui non è stato soltanto fotografo; era un artista poliedrico: è stato pittore, scultore, cineasta e giornalista. Brassaï non era particolarmente interessato dalle foto, però, le foto sono ciò che abbiamo scelto per raccontare la sua attività. Come disse il suo amico Henry Miller, lui era l’occhio di Parigi e questa è la migliore definizione che sia mai stata data su di lui. A un certo punto della sua vita Brassaï cominciò a illustrare il mondo come facevano i surrealisti. Ha cominciato a fare delle fotografie e a frequentare l’ambiente degli artisti: Picasso, Dalì, Breton. Nella sua vita ha condotto molteplici esperienze ma soprattutto era un giornalista e si rese conto che, per corredare il suo lavoro di giornalista, aveva necessità di fotografie. Questo ha innescato, nel 1929, l’inizio della sua attività di fotografo. Ha cominciato a fotografare la vita di Parigi, quelle che lui definiva “le immagini latenti”, ossia, le immagini che appartenevano ai suoi ricordi d’infanzia, alla prima volta in cui era andato a Parigi. Brassaï era un flâneur, un uomo che amava passeggiare e scoprire Parigi. Lo faceva di giorno, Montparnasse, Montmartre, i graffiti. Gli interessava far vedere la vita parigina; ritrasse un vagabondo e la vita dei caffè parigini come La Môme Bijou; cominciò scattare foto a Les Halles, che all’epoca erano i mercati generali di Parigi. All’alba andò a Les Halles e cominciò a ritrarre la vita parigina che si organizzava durante la notte. Lui non era interessato soltanto a questo mondo ma anche – la ritrasse - alla vita dell’alta società, alle feste e cominciò a scattare di notte, cosa mai fatta in precedenza; scattò anche degli inediti per l’epoca, ossia, le fotografie dell’acciottolato della città, quello usato per lastricare le strade. Cominciò a essere attratto dalla brillantezza, dai riflessi, dalle luci: i lampionai diventarono i suoi migliori amici. Utilizzava delle corde per misurare la distanza tra la sua macchina fotografica e il punto che voleva fotografare. Utilizzava l’asse di sei centimetri per nove ma quello che voleva fare non era semplicemente ripetere, riproporre un’immagine: lui voleva trasmettere l’anima, l’anima della città. Dunque, fece delle inquadrature che poi rilavorava in laboratorio. Le foto in mostra sono state scattate tutte da lui e da lui sviluppate e stampate nella sua camera d’albergo parigina. Faceva tutto il lavoro perché voleva trasmettere completamente l’anima racchiusa nelle sue immagini e voleva far conoscere la notte, che – in effetti - cominciò a essere conosciuta grazie alle sue fotografie. Una Parigi che non si era mai vista prima e che Brassaï ritraeva in maniera istintiva, registrando quello che accadeva in maniera artistica. Lui ha creato opere d’Arte mai realizzate prima. Non c’erano manuali per scattare queste foto, lui usava le corde per misurare la distanza tra la macchina fotografica e gli oggetti da immortalare, usava la luce, divenne amico dei lampionai, così da capire come funzionava la luce. Nel 1932 pubblicò un libro di fotografie che Picasso definì straordinario e fu così che divennero amici e rimasero amici fino alla morte del pittore spagnolo. Dunque, Parigi di notte ma non soltanto quella di chi lavorava, bensì, anche la città dei segreti, del piacere, dei bar, delle case chiuse, che lui preferiva chiamare le “case d’illusione”; le prostitute, la polizia, i cattivi ragazzi. Poi, iniziò un lavoro tipicamente surrealista, con il Minotauro. Brassaï era un uomo molto colto, era amico di tanti artisti, come Henry Miller, un circolo di artisti che girava intorno a Montparnasse. Queste amicizie furono molto importanti per lui. Con loro andava sia nei bar sordidi sia nei luoghi più eleganti, frequentando anche le serate del mondo della moda. Andava alle serate da Maxim, all’ippodromo parigino di Longchamp, all’Opera di Parigi. Nella Parigi sordida incontrava i prosseneti e altrove il bel mondo della capitale francese. Brassai non aveva pregiudizi, era una persona molto spontanea, molto naturale; considerava molto gli esseri umani e ne traeva nutrimento per la sua opera. Le immagini erano importanti, per lui e dunque andava in giro per la città, di giorno come di notte. Ha ritratto Christian Dior ma anche Antoine, che era il parrucchiere delle star dell’epoca; ergo, ha rappresentato davvero la Parigi del suo tempo. Un’altra parte fondamentale e straordinaria del suo lavoro sono i graffiti. Erano una rappresentazione di un mondo vernacolare che era specifico di una certa parte della città. Ha fotografato i muri più umili, che considerava come un museo di arte primitiva. Aveva cominciato con i ciottoli della pavimentazione parigina e poi aveva alzato lo sguardo verso i muri. Erano muri grattati, danneggiati e bucati ma che considerava come luogo di esposizione di questa Arte Primitiva. Ha catalogato i graffiti secondo i temi: morte, amore, magia. Considerava i graffiti come un discorso che era fatto dai muri. In mostra c’è un arazzo, realizzato basandosi sui graffiti, un’opera importantissima. La mostra si conclude con un film, perché lui era davvero un artista poliedrico. Questo film era stato considerato da Brassaï come un divertissement, dura venti minuti e ricevette anche un premio al Festival del Cinema di Cannes. In questo film vediamo una complementarità, un gioco – perché era questo per Brassaï – tra gli animali e gli esseri umani. C’è una trasfigurazione di umani e animali e viceversa, che è accompagnata solamente dalla musica. Sono immagini di una Parigi viva, che testimoniano che Brassaï era davvero in grado di fare qualsiasi cosa. Io sono suo nipote e sono davvero fiero di poter condividere la sua opera. Lui era un uomo puro, un artista puro; non ha fatto il suo lavoro per trarne vantaggio economico. È meno conosciuto di altri artisti ma è proprio questo che fa di lui Brassaï. Era un essere straordinario, espansivo, felice, che sorprendeva tutti e mi faceva tantissimi scherzi quando ero bambino. Spero che visitando la mostra abbiate le mie medesime emozioni, ne sarei felice. Le immagini che vedrete qui sono tutte state realizzate da lui, a volte utilizzava lo specchio della camera d’albergo per completarle”.

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