Le buone maniere, Daniel Cuello: "L'importante è fare una scelta"

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Gabriele Lippi

L'ultimo graphic novel dell'autore nato in Argentina prosegue il racconto dell'universo narrativo di "Residenza Arcadia" e "Mercedes", e lo fa portandoci nella quotidiana burocrazia di un ufficio censura. Mettendoci di fronte alle nostre responsabilità individuali. L'intervista

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Un noiosissimo ufficio pieno di piccoli modesti burocrati, il volto meno spaventoso (eppure non meno pericoloso) di una dittatura, è lo scenario in cui si svolge Le buone maniere, ultimo graphic novel di Daniel Cuello pubblicato da Bao Publishing (224 pagine, 21 euro). Persone ordinarie che non uccidono, non imprigionano, non torturano. Cancellano però ogni spazio di libertà applicando la più rigida censura dettata da un vademecum pubblicato dal partito che nessuno riesce a leggere interamente prima che sia aggiornato. Persone ordinarie con un lavoro ordinario, dipendenti pubblici dentro un ufficio pubblico (l'Ufficio 84, che già dal nome manifesta una chiara e voluta eco orwelliana), eppure complici di un regime. Il terzo capitolo di un universo narrativo complesso e articolato arriva dopo Residenza Arcadia e Mercedes, allarga ancora la prospettiva, amplia lo spazio dell’inquadratura, conferma il talento di un narratore unico nel suo genere, capace con dialoghi e regia di far immergere il lettore nel contesto senza quasi mai ricorrere all’uso delle didascalie. Ne abbiamo parlato con l’autore.

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Cosa sono le buone maniere?
Questo libro parla di tante gabbie e le buone maniere, quelle che ci hanno insegnato che dobbiamo usare sempre, a volte vanno bene, a volte invece ci obbligano a comportarci in modo non spontaneo, senza lasciare trasparire le nostre emozioni.

 

I tuoi libri raccontano di una dittatura e di un partito senza nome che impone la sua egemonia sul popolo. Che distanza c’è tra l’universo narrativo che hai creato e il nostro mondo?
Non è che ci sia così tanta differenza. Ovviamente noi non viviamo in dittatura, abbiamo questa fortuna, ma io uso moltissimo della nostra cultura occidentale e semplicemente ci metto un tetto sopra, che è questo partito e questo regime, in modo che tutti i personaggi dei miei libri siano schiacciati da un monolite solido che soffoca i loro desideri, le loro ambizioni.


Rispetto ai primi due, questo libro sembra coinvolgere più direttamente il lettore, chiamarlo in causa.
Dal primo libro, Residenza Arcadia, abbiamo una certa visione, una certa percezione di quali sono i confini, in Mercedes un’altra e in questo ampio ancora di più la visione. Vediamo qualcosa di più e sicuramente vediamo qualche rotella dell’ingranaggio del partito che comincia a girare in verso opposto.

 

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Siamo troppo presi dalle piccole cose, da una macchinetta del caffè che non funziona, per accorgerci di ciò che veramente ci fa male?
Sono importanti entrambe le cose, sia capire cosa non va nel nostro piccolo, poter migliorare banalmente anche una macchinetta del caffè per rendere la quotidianità un po’ più tranquilla, agevole e pacifica, ma è anche importante che non siano le nostre uniche aspirazioni, le uniche distrazioni della nostra vita. Abbiamo un intero pianeta che sta andando in una direzione ed è importante agire, fare qualcosa per evitare che le cose vadano come dicono che andranno.

 

Davvero viviamo nel passato di un futuro che non arriva mai?
In un certo senso sì. Di certo la mia generazione, ma sono convinto che tutte le generazioni se lo siano dette. Viviamo in un eterno presente, un presente ciclico che ogni tanto viene interrotto. Adesso è stato interrotto da vari eventi sicuramente epocali che ci sono capitati negli ultimi anni. Ma a parte questo, viviamo in un eterno presente in cui lo status quo rimane, sembra non ci sia mai un futuro, mentre in realtà la storia va avanti.

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Per liberarci dal potere che ci opprime dobbiamo prima imparare a prenderci gioco di esso come fa Sandro?
Sandro è il mio personaggio preferito di tutto il libro, proprio perché a un certo punto fa qualcosa che non ci si aspetta, qualcosa di dirompente, prende una decisione e va via. Decide di voltare le spalle, cambiare vita, fare qualcosa per poter modificare quell’ingranaggio di cui parlavo prima.


Viene da pensare che dovremmo provare tutti a essere un po’ Sandro, ma molto più spesso ci capita di essere Teo…
Molto più spesso siamo Teo, ma in entrambi i personaggi ci sono pro e contro. Il punto è fare una scelta, anche stare seduti senza fare niente, come Teo, è una scelta. Non bisogna dimenticarsi che bisogna prendersi cura anche di sé stessi, della propria autodeterminazione, di ciò che si vuole fare. Sandro è un attivatore, Teo è un personaggio che passa la vita nella sua routine. Bisogna scegliere quale dei due essere.

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Ti sei mai chiesto perché ti piace così tanto parlare di regimi?
Il fatto che io scriva di un regime è sicuramente dovuto alla mia infanzia. Quando sono nato esisteva la dittatura in Argentina e tutti i racconti dei miei parenti erano pregni di cosa significasse vivere sotto un regime. Questo mi ha dato il la anche per raccontare la nostra realtà, io non scrivo niente che non sia mai accaduto almeno una volta nella storia, descrivo la nostra realtà. Le mie origini e il fatto che io mi sia poi trasferito in Italia mi hanno permesso di vedere con un occhio completamente diverso. Non mi sono mai sentito né totalmente argentino né totalmente italiano, vedo le cose un po’ come un antropologo, con distacco, senza giudizio. La scelta viene dopo.

 

Le buone maniere chiude definitivamente questo universo narrativo o ci sarà un altro capitolo?
Io sto puntando in una direzione, sto andando da qualche parte e ci voglio portare il lettore, che non considero assolutamente una persona sciocca. Voglio considerare lettore e lettrice una persona capace di intuire da sola qualcosa che io non ho ancora detto, ma al tempo stesso li sto portando in una direzione.

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