Mickey e L'Oceano Perduto, Silvio Camboni: "Topolino può essere tutto"

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Gabriele Lippi

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Arriva in Italia un'opera che in Francia ha venduto 35mila copie. Scritta da uno sceneggiatore francese e disegnata da un artista cagliaritano. Una avventura fantastica che reinventa i personaggi classici in ruoli nuovi. Una festa di storie, disegni e colori esaltanti

Una collezione di Topolino invidiabile fa capolino dietro la scrivania del fumettista. “Non sono che una piccola parte, tutti non ci stavano”. Condensare trent’anni di carriera nella libreria di uno studio non è possibile. Silvio Camboni è l’autore con Denis-Pierre Filippi di Mickey e l’Oceano Perduto, una splendida avventura di Topolino in stile steampunk pubblicata in Francia (dove ha venduto 35mila copie) da Glénat finalmente tradotta e distribuita in Italia da Panini Comics (64 pagine, 14,90 euro). Una gemma in cui tutto, dalla storia ai disegni, fino ai colori, funziona alla perfezione.

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Panini Comics

Che effetto fa vedere la sua storia pubblicata in Italia?
Mi fa molto piacere. Da tanti anni lavoro in Francia con un discreto successo, ma in Italia al di fuori dei fan Disney e della cerchia di appassionati il mio lavoro è poco conosciuto. Da tempo lavoro poco su Topolino, ma rimane il fatto che sono italiano, vivo in Italia, questo è il mio Paese ed è bello che delle opere a cui tengo molto possano essere lette anche dai lettori italiani. Poi questa serie ha una storia editoriale particolare: inizialmente doveva essere pubblicata da Giunti, ne sono usciti tre volumi ma il progetto è stato interrotto. Che a pubblicarli ora sia Panini mi rende ancora più felice, perché è l’editore di Topolino e Topolino è la mia casa. Mi sento come quelli che vanno via da giovani, crescono, fanno le loro esperienze e tornano per rincontrare i vecchi amici da persone diverse, più consapevoli.

Mickey e L’Oceano Perduto ha un cast noto ai lettori di Topolino.
Sì, c’è Topolino, poi ci sono Pippo, Minnie, Gambadilegno, Plottigat, e il Professor Enigm. Quello che bisogna fare, però, è pensarli non come personaggi ma come attori che interpretano un ruolo in una storia particolare. Prendere personaggi classici e affidare loro parti nuove si può fare, basta rispettarne la personalità.

Appunto, il cast è noto ma la storia è nuova. Non è la classica storia di Topolino.
A questo punto posso farla io una domanda all’intervistatore?

Prego
Qual è il ruolo classico di Topolino?

Beh, per la mia generazione direi che Topolino è un detective non professionista ma estremamente capace che aiuta il commissario Basettoni a risolvere casi spesso intricati.
Ecco, la verità è che per un certo periodo è stato abusato un tipo di caratterizzazione per un personaggio che in realtà è vario a 360 gradi. Certo che Topolino ha fatto anche quello, ma non solo quello. Ed è stupido pensare che quella sia la sua zona di comfort, la sua normalità. Per quel che mi riguarda si tratta solo di pigrizia degli autori, Topolino è più che il cameriere di Basettoni. E in questa storia noi proviamo a riaffermare il principio con un nuovo approccio. In Italia fu fatto anni fa con Mickey Mouse Mistery Magazine: Topolino fu preso, portato via dal suo contesto abituale, buttato in un’altra città, in mezzo a personaggi nuovi e alle prese con atmosfere diverse.

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Ecco, chi racconta quell’epoca spesso parla di una Disney Italia capace di una creatività vivissima e di una casa madre, Parigi, piuttosto rigida nel far rispettare il canone e l’ortodossia. Si sono ribaltati i ruoli?
No, non direi questo, il discorso è più complesso e per farlo dobbiamo uscire dai contorni delle storie a fumetti ed entrare in quelli del business e del marketing all’interno dei colossi narrativi. In quel momento a Parigi c’era il centro di coordinamento che sovrintendeva alla produzione Disney europea, ora questo centro è a Milano, dove viene approvato anche quello facciamo noi in Francia, dando comunque sempre uno sguardo a Burbank, in California. Ed è anche giusto che sia così, andando noi a mettere le mani su personaggi che sono di fatto un patrimonio dell’umanità. Io mi sentirei violentato se domani Topolino diventasse, per esempio, un personaggio violento e razzista che fu uso di stupefacenti.

Però si può innovare rispettando il lascito di questi personaggi.
Sì, certo. Mickey Mouse Mistery Magazine fu a suo modo una esperienza rivoluzionaria, me lo ricordo bene perché ne feci parte, questa esperienza che fa Glénat in Francia è allo stesso modo rivoluzionaria e pone degli equilibri e delle questioni nuove all’interno della produzione disneyana. Nei Paesi nordici, Egmont ha un gusto che si è formato con Carl Barks e si è fermato lì, agli anni Quaranta, da noi c’è stata una evoluzione diversa perché abbiamo avuto Cavazzano, Carpi, Scarpa, che hanno portato il tutto ad altri livelli di eccellenza. In Francia per tanti anni hanno ripubblicato le cose che facevamo in Italia, hanno una percezione di Disney un po’ frammentaria, l’idea che in Italia ci siano grandi autori, ma c’è anche una cultura fumettistica generale enorme, in cui Disney è solo una piccola parte del tutto. È un’esperienza che va inquadrata in un contesto culturale profondamente diverso da quello italiano.

E questo come influisce su un’opera come Mickey e l’Oceano Perduto?
La vera differenza fra questa esperienza Glénat e quelle che l’hanno preceduta è che per la prima volta, anziché avere in primo piano il brand Disney o il brand Topolino, in prima pagina, in evidenza, c’è l’autore: Filippi e Camboni raccontano Topolino. Non era mai successo prima. 

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Parliamo del suo lavoro specifico all’interno di Mickey e l’Oceano Perduto. Ogni tavola è un capolavoro, merito dei suoi disegni e anche dei colori di Gaspard Yvan. In particolare mi ha colpito quella in cui Topolino cade in catalessi, su uno sfondo scuro, seguito da Pippo, Minnie e Gambadilegno che cercano di recuperarlo.
Quella doppia pagina ha una storia particolare, nella sceneggiatura non esisteva. La storia è strutturata in capitoli ma a un certo punto c’è un salto di cinque anni tra quando Topolino perde i sensi e quando si risveglia, graficamente si passava direttamente da una vignetta nera a quella in cui Topolino tornava. Mi sembrava un passaggio troppo rapido, irrazionalmente sentivo che mancava qualcosa, ma non sapevo bene cosa e non sapevo come risolvere il problema. Poi una notte, in una specie di dormiveglia, ho sognato esattamente quell’immagine, con Topolino e gli altri tre vestiti come negli anni ’30 e quelle note che sono le stesse della canzone che Pippo fa suonare per provare a risvegliare Topolino nella pagina successiva, una cosa che evidentemente il mio cervello rincorreva da giorni e che si è cristallizzata in un momento di semi-coscienza. E l’ho immaginata a colori, così, anche se normalmente non do indicazioni sulla colorazione, ho chiamato Gaspard e lui, dal mostro che è, l'ha realizzata esattamente come l’avevo immaginata io.

Quasi un’esperienza mistica.
Mi vergogno quasi a raccontarla. Sono un disegnatore estremamente normale, faccio una vita da impiegato del fumetto, non da artista. Non ho mai raccontato una storia del genere, non mi era mai successo prima. Ma stavolta è andata così, quindi perché non dirlo?

Come è stato il lavoro con lo sceneggiatore?
Avevo già lavorato con Pierre (Filippi, ndr), ma lui era alla sua prima storia Disney, doveva adattarsi a usare quei personaggi, capirli, gli ho ceduto tanto del mio background affinché potesse entrare nel canone disneyano, ed evidentemente ci sono riuscito se è vero che il nostro lavoro è stato approvato praticamente senza note. In generale abbiamo collaborato tanto, ovviamente anche lui mi ha dato tanti suggerimenti sulla parte visiva.

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Quali sono le tavole che le hanno dato più soddisfazione?
Beh, naturalmente quella citata, tecnicamente è una doppia pagina facile, è stato banale farla per me, ma la sua genesi non lo è affatto. Poi quella doppia in mezzo alla foresta, che invece è complessa e ha tutto quello che deve avere per me una tavola di fumetti: è bella esteticamente, racconta quello che deve raccontare, i colori si integrano perfettamente col disegno e il disegno con la storia. Credo sia una tavola in cui si raggiunge la perfezione, non quella assoluta, ma la mia perfezione, il meglio che io sia in grado di fare. Ce ne sono tante altre che mi piacciono, ma quella riesce a essere complessa senza perdere in leggibilità.

Lei è nato in Sardegna e ha trovato la sua strada nel mondo dei fumetti a Milano. Si sente un fumettista emigrato?
Non direi. Io il fumetto lo volevo fare già in Sardegna quando ero ragazzo, alle medie, poi alle superiori ho fatto l’Artistico e ho continuato. Quando sono partito per Milano non l’ho fatto per diventare fumettista ma per studiare architettura, ho semplicemente colto l’occasione che una città come Milano ti può dare se gliene dai la possibilità, trasformando la mia passione in professione.

Mickey e l’Oceano Perduto rimarrà un caso unico o ci saranno altri volumi pubblicati in Italia?
Almeno altri due titoli di Glénat sono già stati annunciati: il mio secondo volume, La Terra degli Antichi, la cui uscita è prevista a ottobre e se saremo tornati a un mondo normale potrebbe essere presentato a Lucca. Ma prima ancora, a giugno, verrà pubblicato Mickey Attraverso i Secoli, di Dab’s e Fabrizio Petrossi. 

E i suoi prossimi progetti quali sono?
Ne ho diversi che proseguono in modo parallelo in Francia. Quello di maggior successo è la serie Le voyage extraordinaire, di cui sono usciti sette libri, l’ultimo a ottobre 2021, ritardato causa Covid. L’ottavo uscirà a giugno, regolare come i precedenti, e sono già al lavoro sul nove che uscirà nel 2022. Poi c’è Les Mondes Cachés, una serie in quattro volumi pubblicata da Humanoides et Associes già conclusa, di cui uscirà un’edizione integrale per Natale. Nel 2022 dovrebbe vedere la luce una nuova serie di fantascienza che per il momento non è stata ancora annunciata, un progetto nuovo.

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