Eccetto Topolino: "Così il fascismo salvò Walt Disney dalla censura"

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Gabriele Lippi

Nel 1938 il regime proibì tutti i fumetti americani in Italia. Tranne uno, Topolino. Le origini di questa decisione vengono ripercorse in un saggio approfondito di cui NPE ha appena pubblicato una seconda edizione aggiornata e ampliata. Uno degli autori, Gori, lo spiega a skytg24.it: "Mussolini amava Disney, ma le vere ragioni furono meno romantiche"

Nel 1938, dopo un decennio di dominio e grandissima influenza culturale sulle generazioni di italiani più giovani, i fumetti americani finiscono al bando. La decisione la prende il ministro Dino Alfieri, capo del Minculpop tra il 1937 e il 1939, ma è il frutto di una fortissima spinta reazionaria di gran parte della cultura istituzionalizzata. Il decreto cancella Flash Gordon, Mandrake, Cino e Franco, ma risparmia Topolino e l’opera di Walt Disney. Sulla ragione della magnanimità di Mussolini nei confronti di Mickey Mouse si è speculato a lungo, ma le risposte definitive sono arrivate solo di recente grazie a un saggio a sei mani di Fabio Gadducci, Leonardo Gori e Sergio Lama. Eccetto Topolino, pubblicato da NPE, ha appena visto la sua seconda edizione dopo la prima del 2011. Un libro che, come spiega Leonardo Gori, ricostruisce la storia del fumetto in Italia tra i primi anni ’30 e l’immediato Dopoguerra attraverso i documenti firmati dai protagonisti di queste vicende. 

Perché Eccetto Topolino?

Nei primi anni ‘70, uscì un numero di una rivista di divulgazione storica, Historia, con un articolo in cui un giornalista cercava di ricostruire i fatti del 1938, quando furono proibiti tutti i fumetti di importazione americana tranne Topolino. In quell’articolo si diceva che Mussolini avesse scritto in fondo al decreto due parole: Eccetto Topolino.

 

Ed è vero?

Quando riuscimmo a localizzare il leggendario archivio di Guglielmo Emanuel, cercammo l’autografo del Duce, non lo trovammo. Trovammo però tanto altro. Eravamo andati a caccia d’oro e avevamo trovato i diamanti. La frase autografa potrà pure essere una leggenda, magari un domani spunterà fuori, però è un fatto che andò proprio così.

 

Perché il regime si oppose i fumetti americani?

Sì oppose a quelli e ai gialli con contenuti di violenza. Fu una difesa ad oltranza della cultura popolare italiana nei confronti di quella che si pensava essere una colonizzazione culturale. Un’opposizione trasversale che interessò soprattutto quella che oggi chiameremmo la lobby degli educatori. Con poche eccezioni, il mondo della cultura si schierò col Fascismo contro il fumetto americano. 

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Chi ne pagò le conseguenze?
Flash Gordon, Mandrake, Falcon, Cino e Franco, i grandi eroi che avevano rivoluzionato non solo il mercato dei periodoci illustrati in Italia, ma anche lo stesso pubblico, cambiandone i gusti e creando una generazione nuova, che fu poi chiamata quella dei ragazzi di Gordon. Fu risparmiato solo Topolino.

 

Come mai?

Si diceva che fosse per l’amore dei figli di Mussolini, specialmente Romano e Anna Maria, per il personaggio di Topolino, ma i motivi furono probabilmente meno romantici. In realtà Topolino fu salvato dal rapporto privilegiato tra l’editore Arnoldo Mondadori, che stampava e curava tutte le testate fasciste, e Mussolini. Un legame che all’epoca era nella normalità e liceità, anche se oggi appare sinistro.

 

Si dice anche che c’entrasse la stima reciproca tra Mussolini e Disney.

Qui bisogna distinguere tra fatti e opinioni e i primi sono controversi. Sappiamo che Disney compì un lungo viaggio in Europa ma non abbiamo la certezza che abbia incontrato personalmente Mussolini. Sicuramente ci furono dei contatti e sappiamo senz’altro che le alte gerarchie fasciste incontrarono i Disney a Roma. Senza dubbio Mussolini amava il lavoro dei Disney, si fece proiettare privatamente Biancaneve e i sette nani e ne fu entusiasta.

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Nell’opera si racconta anche l’avvento di Topolino in Italia.

Topolino viene importato grazie all’apertura mentale e alle capacità imprenditoriali di Guglielmo Emanuel, antifascista perseguitato dal Regime. Costretto a lasciare il Corriere della Sera di cui diventerà direttore nel Dopoguerra, si inventò quale agente del King Features Syndicate di William Randolph Hearst, tycoon che ispirò il Citizen Kane di Wells. Propose i contenuti in Italia e trovò sponda nel piccolo editore fiorentino Nerbini, specializzato in editoria satirica e umoristica, che inondò le edicole di pubblicazioni popolari.

 

E poi che accadde?

Con i fumetti americani, la Nerbini costruì un impero, suscitando l’attenzione dei grandi editori del Nord, principalmente di Arnoldo Mondadori. Mondadori cercò di strappare Topolino a Nerbini mettendosi direttamente in contatto con Walt Disney, che fece un giro in Europa nel 1935. È così che Mondadori riuscì a strappare a Nerbini l’esclusiva dei fumetti Disney creando una casa editrice autonoma.

 

Nel libro si racconta anche di come Nerbini fu costretto a contendersi i diritti italiani di Topolino con Frassinelli, che pubblicò due libri sul personaggio tradotti nientemeno che da Cesare Pavese.

Sì, è quasi certo che fu proprio lui a tradurre quei libri. Pavese all’epoca lavorava per Frassinelli e quei due volumi, che non sono a fumetti ma libri illustrati coi fotogrammi dei film, hanno una traduzione firmata “Cesare”. Questo fatto di Pavese traduttore era piuttosto noto tra gli addetti ai lavori, ciò che abbiamo scoperto, grazie all’archivio online de La Stampa, è la disputa legale tra Frassinelli e Nerbini. Ma forse il grande merito del nostro lavoro è proprio aver fatto uscire tutta questa storia dalla cerchia degli esperti in cui era confinata.

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Un lavoro molto lungo e approfondito. Quali sono state le fonti e come vi siete mossi?

Ci siamo divisi i compiti. Il lavoro di ricerca sul campo l’ha svolto soprattutto Fabio Gadducci, professore dell’Università di Pisa che condivide con noi la grande passione per il fumetto di quel periodo. Ha scavato lui nell’archivio di Emanuel e in molti altri, da quello di Fondazione Mondadori all’Archivio di Stato. Abbiamo poi affidato a dei revisori scientifici esperti di riferimenti archivistici la revisione del testo nella sua seconda edizione, più ampia e rivista, con un nuovo capitolo che si spinge fino all’immediato Dopoguerra.

 

Quanto è durata la fase di ricerca?

Un anno di lavoro matto e disperatissimo per la prima edizione, due o tre più diluiti per la seconda. Abbiamo sfruttato le rispettive peculiarità, competenze e talenti. Io personalmente ho cercato di stendere la prima versione del testo, in stile narrativo, perché è quasi un thriller pieno di colpi di scena. Anche se poi tutti ci abbiamo messo ampiamente le mani.

 

Quasi 90 anni di pubblicazione ininterrotta. Qual è il segreto del successo di Topolino?­

­Il segreto, a mio avviso, sta nella felicissima intuizione iniziale dei personaggi. Chi li ha creati ha inventato delle icone che hanno immediatamente avuto un successo planetario. Fra il 1928-29 e la metà degli anni ‘30 divenne una presenza ubiquitaria, un’immagine altissimamente simbolica. Ma oltre l’intuizione, il segreto sta nel fatto che i personaggi sono stati via via utilizzati da autori di grande genio che si sono passati la fiaccola, dando ognuno qualcosa di sé in una felicissima combinazione. Penso agli americani ma anche ai nostri italiani. Una staffetta attraverso i decenni che ha tenuto vivi i personaggi mettendo sempre qualcosa di nuovo, adattandoli alla società loro contemporanea.

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