Pillole di Recovery, chi pagherà i fondi europei nei prossimi anni

Economia

Sky TG24 lancia il suo nuovo format di approfondimento legato al Recovery Fund. Chi pagherà i fondi europei: guarda nel video la terza puntata di "Pillole di Recovery".

Guarda qui la prima puntata di Pillole di Recovery, e clicca qui per la seconda.

 

Proprio il modo con cui l’Europa raccoglie i soldi da dare ai governi è l’aspetto più interessante di tutta questa storia. Per capire perché bisogna fare un passo indietro.

 

In Europa, quando si tratta di chiedere dei prestiti, si va tutti divisi. L’Europa è un gigantesco supermercato di titoli di debito nazionali: chi compra un BTP presta denaro all’Italia. Chi compra un Bund lo presta alla Germania. E non basta nemmeno l’Euro a renderci uguali di fronte a chi deve decidere se darcelo o meno. Nel 2011 la Germania non faticava a farsi prestare denaro. Mentre l’Italia doveva dissanguarsi pagando interessi altissimi perché gli investitori (che fossero lontani fondi speculativi o il signor Rossi) non si fidavano.

 

Ancora oggi nonostante i tassi siano tutti più o meno appiattiti, le differenze ci sono. Differenze che in inglese hanno un nome celeberrimo: lo “spread”. Se tutti garantissero per tutti, questo non succederebbe. Un po’ come se per chiedere un mutuo in banca entrassero a braccetto greci, tedeschi italiani e olandesi. Ma i tedeschi a braccetto con noi a chiedere prestiti non ci sono mai voluti andare, temendo che un crac italiano li costringesse a pagare di tasca loro i nostri debiti.

Gli eurobond

Chiedere i prestiti tutti insieme ha un nome che per decenni è stato uno spauracchio a Berlino: Eurobond. Angela Merkel anni fa arrivò a dire: “finché ci sono io ve li scordate”. E così, nonostante tanti paletti siano caduti negli ultimi dieci anni, soprattutto grazie all’azione della BCE, i titoli comuni europei sono sempre rimasti una piccola eccezione nel panorama finanziario. Un tabù.

 

Poi è arrivata la pandemia. Gli Eurobond veri e propri non sono arrivati nemmeno stavolta. Ma qualcosa che ci assomiglia da vicino sì, pur essendo una tantum. Con il recovery Fund l’anatema di Angela Merkel si è sciolto. La vera svolta è stata proprio questa: per raccogliere i soldi da girare come aiuti ai paesi membri, l’Europa si presenta sui mercati e li chiede in prestito. Chi compra i titoli europei, non sta prestando i suoi soldi all’Italia, alla Francia o alla Lituania. Li sta prestando all’Europa. Anche se uno si fidasse poco di greci o portoghesi, la garanzia data dai tedeschi o dai finlandesi lo convincerà a investire ugualmente i soldi e ad accettare interessi bassi. Ecco da dove arrivano i 750 miliardi di Next Generation EU: sono un debito che l’Europa fa con i mercati. Avere debiti comuni, per gli Stati come per le persone, è un’arma a doppio taglio. Perché da un lato in debiti ci uniscono nella responsabilità, Dall’altra rischiano di farci litigare. La scommessa del Recovery Fund è anche questa.

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Chi paga?

Quel debito europeo, ovviamente, andrà ripagato. È un problema che si presenterà tra molti anni, quando i vari paesi avranno già speso le risorse ricevute da Bruxelles. Ma dove verranno presi allora i soldi? Per più o meno la metà di quei 750 miliardi il problema non si pone, perché come sappiamo sono a loro volta prestiti. L’Europa li dà ai paesi, questi nel tempo li restituiscono all’Europa che a sua volta può rimborsare chi l’ha finanziata sui mercati. Ma per l’altra metà, i famosi sussidi a fondo perduto, il problema si pone eccome. La Commissione Europea dovrà usare soldi suoi: il famoso bilancio comunitario.

 

Oggi l’Europa prende quasi tutte le risorse che le servono dai paesi membri. Che quindi indirettamente pagheranno comunque il conto. Ma il bilancio comunitario diventerà più ricco: l’Unione Europea, come un teenager che comincia ad avere i suoi primi quattrini, avrà un vero portafoglio, con entrate tutte sue. Ad esempio nuove tasse europee, che finiranno direttamente a Bruxelles. È una discussione che non è ancora entrata nel vivo, Ma anche su questo si giocherà il futuro di una vera integrazione finanziaria e si misurerà la portata della svolta impressa da Next Generation EU.

 

Per rimborsare i soldi presi in prestito dalla Commissione, infine, c’è una terza via. Fare nuovi debiti per ripagare quelli vecchi. Indebitarsi, insomma. In modo perpetuo. In poche parole, l’Europa si troverebbe con una cosa che in Italia conosciamo piuttosto bene: un vero debito pubblico. Ma questa è, per adesso, è una storia tutta da scrivere.

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