Pillole di Recovery, l'Europa batte un colpo: perché è nato il Next Generation Eu

Economia

Sky TG24 lancia il suo nuovo format di approfondimento legato al Recovery Fund. Come e perché è stato lanciato il Next Generation Eu: guarda nel video la prima puntata di "Pillole di Recovery".

 

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Cominciamo dal nome. Tutti noi lo chiamiamo Recovery Fund, cioè “fondo per la ripresa”. Ma il piano straordinario dell’Unione Europea si chiama in realtà Next Generation EU, cioè “l’Europa di Nuova Generazione” (IL MONITORAGGIO DI SKY TG24 SUL RECOVERY). Il Recovery Fund è la parte principale dell’intero piano, ma non la sola. Il nome chiarisce bene l’obiettivo ambiziosissimo che l’Europa ha voluto darsi: non solo quello di riprendersi dalla pandemia, ma di cogliere l’occasione per ridisegnare il volto della propria economia e in fin dei conti della propria società.

 

Per capire come mai è stato necessario mettere in piedi questo imponente piano di aiuti basta un dato. Il crollo nell’anno del Covid è roba da tempo di guerra. Una tale distruzione di ricchezza, di posti di lavoro e di benessere è stato qualcosa di mai visto per intere generazioni di europei.

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Una distruzione che non ha colpito ovunque nello stesso modo. Un po’ per sfortuna, Un po’ perché certi paesi erano e sono più fragili di altri.

Come è nato il Next Generation Eu

Risultato: nella primavera dell’anno scorso c’era il rischio concreto che la stessa costruzione europea finisse in frantumi, travolta da una recessione disastrosa e da un “si salvi chi può” che minacciava di far saltare qualsiasi vincolo di solidarietà o di comune interesse.

 

E invece, nel momento più duro della sua storia unitaria, l’Europa batte un colpo. Nulla è scontato in quella primavera del 2020. Quasi tutte le capitali (e Roma gioca un ruolo di prima piano) invocano la necessità di aiuti straordinari, indebitandosi e dando garanzie insieme. E tutti sanno che è a Berlino che si gioca la partita. Angela Merkel, a marzo, si oppone. Ad aprile tentenna. Ma il 18 maggio, arriva la svolta. In un anno di tante cose definite “epocali”, quella svolta si diluisce e si scolora. Ma epocale lo è di sicuro. Merkel e Macron si presentano insieme e annunciano un piano di aiuti da 500 miliardi. La storia d’Europa, quel giorno, cambia. Soldi raccolti sui mercati dall’Ue tutta insieme e girati agli stati membri. Una cosa mai vista in quelle proporzioni. Passano nove giorni e Ursula Von der Leyen, che presiede la Commissione Europea, trasforma l’annuncio in una proposta concreta. La cifra lievita a 750 miliardi di Euro. È una cifra enorme. Sarebbe come dare 1700 euro a ogni cittadino dell’Unione Europea.

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Una cifra enorme

Una cifra che unita all’arsenale sfoderato dalla BCE di Christine Lagarde disegnerà i confini di una risposta europea alla crisi economica, su cui a marzo non tutti avrebbero scommesso. E che si somma agli aiuti che ogni paese mette in campo per sostenere le imprese, i lavoratori, le attività messe in ginocchio dalla crisi.

Come tutti le grandi partite che si giocano in Europa, serviranno mesi di vertici, di accordi, di tre passi avanti e due indietro prima di arrivare al sigillo definitivo. Aspetti fondamentali non sono stati pienamente definiti nemmeno adesso.

È la stagione in cui impariamo a conoscere i paesi “frugali”, cioè quelli che non vogliono aprire il portafoglio, e in cui chi si oppone non è più a Berlino (ed è svolta anche questa) ma a Amsterdam, Helsinki e Vienna. Alla fine, ed è la cosa che importa, quell’annuncio di Merkel e Macron e quella proposta di Ursula Von der Leyen diventano realtà.

 

È una realtà che ridisegna il quadro di chi prende e chi dà, con i benefici maggiori per i paesi più colpiti: Italia e Spagna su tutti. E che ridisegna vincoli e controlli: per avere i soldi, e lo si capisce subito, bisogna mettere nero su bianco come si vogliono usare e usarli davvero. Se non convinci gli altri stati membri, non li prendi. Se non li usi come si deve, li perdi. Ma questa è storia dei giorni nostri.

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