L'ombra dei dazi interni: come le barriere nazionali soffocano il mercato unico europeo

Il tema dei dazi è prepotentemente d'attualità con il ritorno di Trump alla Casa Bianca. Ma esiste un'altra forma di barriera commerciale, meno visibile ma altrettanto dannosa, che agisce all'interno dei confini dell'Unione europea: i cosiddetti "dazi interni". Sebbene la parola dazio sia tecnicamente impropria in questo contesto – dal momento che non esistono più tariffe commerciali tra Paesi europei - descrive efficacemente l'effetto economico di una serie di ostacoli che impediscono al mercato unico di funzionare a pieno regime. Questo tema è stato sollevato da personalità di spicco come Mario Draghi, che in un editoriale sul Financial Times ha parlato proprio di queste barriere commerciali. Cosa sono i dazi interni? La vera natura degli ostacoli I "dazi interni" sono il risultato di una serie di regolamentazioni differenti, barriere commerciali, barriere all'ingresso e normative nazionali disomogenee che persistono tra gli Stati membri. Sono, in sostanza, tutti quegli ostacoli burocratici e normativi che rendono più costoso e complesso vendere beni o servizi da un paese dell'Ue all'altro. A imporli sono spesso gli stessi Stati nazionali. Come si manifestano e quale impatto hanno sui prezzi? Cifre che sorprendono Queste barriere provocano un aumento significativo dei costi per le merci e i servizi che attraversano i confini interni dell'Ue. Uno studio del Fondo Monetario Internazionale ha analizzato questo fenomeno, evidenziando cifre che danno la misura del problema. Secondo questa analisi, una merce prodotta in un paese europeo e venduta in un altro può vedere il suo prezzo aumentare fino al 45% a causa di questi sovraccosti. L'impatto è ancora più marcato sui servizi, dove l'incremento di prezzo a causa delle barriere può arrivare addirittura al 110%. Gli economisti del Fmi hanno fornito alcuni esempi delle barriere al commercio. Lenti attraversamenti dei confini nazionali, limiti nazionali nei codici degli appalti e soprattutto l’assenza di regole nazionali armonizzate a livello europeo. Le aziende devono confrontarsi con normative diverse in ogni paese in cui operano, aumentando i costi di compliance e la complessità operativa. Chi li impone? Il ruolo degli Stati nazionali e la posizione dell'Italia È cruciale sottolineare che la responsabilità principale di questi "dazi interni" ricade per lo più sugli Stati nazionali. Sono le loro legislazioni interne, le loro procedure e, a volte, la loro resistenza ad implementare pienamente le direttive europee o ad aprire alcuni settori a creare queste frizioni nel mercato unico. Per evitarlo, la Commissione europea promulga procedure di infrazione nei confronti degli Stati che non applicano correttamente le regole comunitarie. L'Italia, in questo contesto, si posiziona al quarto posto tra i Paesi con più procedure di infrazione aperte relative al mercato unico, dopo Spagna, Grecia e Ungheria. Alla fine dell’anno scorso erano 39 le procedure aperte contro il nostro Paese, rispetto a una media europea di 24. Non si tratta certo di una novità per l’Italia: da anni il nostro Paese è tra gli Stati più sottoposti a procedure di infrazione. Se si parla di procedure di infrazione, non si può non citare il caso delle concessioni balneari: l'Unione europea chiede da anni al nostro Paese di mettere a gara le concessioni di sfruttamento delle spiagge, in linea con i principi di concorrenza e libertà di stabilimento del mercato unico. Mantenere un sistema di rinnovo automatico o procedure non competitive di fatto limita l'ingresso di nuovi operatori, inclusi quelli provenienti da altri Paesi europei, creando una barriera all'ingresso nel settore. Delle barriere al mercato interno si è occupato anche il rapporto di Enrico Letta commissionato dal Consiglio Europeo. Tra i casi citati dall’ex presidente del Consiglio italiano, l'alta velocità ferroviaria, che raramente collega città di differenti Stati europei a causa di incentivi nazionali e freni all’ingresso di operatori stranieri. Qualcosa di simile rischia di avvenire anche in Italia, dove l'Autorità Antitrust a marzo ha aperto un'istruttoria nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana con l'ipotesi che stia ostacolando l’ingresso nel mercato italiano di Sncf, operatore francese dell’alta velocità. Altro esempio è il settore dell'autonoleggio, anche questo è stato oggetto di attenzione nel rapporto Letta. Esistono ostacoli significativi che rendono difficile, se non impossibile, affittare un'auto in un paese Ue e riconsegnarla in un altro. Ciò è dovuto principalmente alle tassazioni differenti tra gli Stati membri. Oppure ancora l'esportazione di vino: le aziende vinicole che esportano in altri Paesi Ue si scontrano con difficoltà significative nel vendere il loro prodotto a causa delle accise sul vino che hanno regole differenti da Stato a Stato. Questi sono solo alcuni esempi concreti di come regole nazionali non armonizzate, limiti all'accesso e differenze fiscali agiscano come veri e propri freni per le imprese che cercano di operare in tutta l'Ue e per i consumatori che potrebbero beneficiare di maggiore scelta e prezzi inferiori in un mercato realmente integrato.

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