Trump, possibile ritorno dei dazi verso Europa e Italia. Quali settori rischiano di più?

Economia
©IPA/Fotogramma

Introduzione

L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti mette a serio rischio il commercio di prodotti europei e italiani, che rischiano di subire rincari importanti. Un problema per molte regioni italiane, considerando lo status di alcuni storici partner, come la Germania, e il peso degli States per l'export.

Quello che devi sapere

I numeri

  • Gli Stati Uniti sono il secondo mercato di sbocco per il Made in Italy: valgono il 10,5% delle esportazioni complessive, per un valore di oltre 69 miliardi di euro nel 2023 e di oltre 33 nei primi sei mesi di questo 2024 (valore in crescita del 3,8% rispetto all’anno prima). Dati positivi che fanno da contraltare a quelli dei flussi commerciali verso altre parti del mondo, che sono invece negativi.

Per approfondire: Trump presidente, cosa cambia con la sua vittoria alle elezioni Usa

Gli Stati Uniti mercato chiave

  • Per alcuni settori in particolare, come l’agroalimentare, la farmaceutica e la meccanica, gli Stati Uniti restano un Paese-chiave a livello di export: più di un veicolo su sei prodotto nel nostro Paese ed esportato ha come destinazione gli States (il 17,7%); così come il 16,3% dell’export italiano di articoli farmaceutici e biomedicali finisce nelle case o nelle fabbriche statunitensi e il 12% dei macchinari e dei prodotti alimentari. A rilevarlo è TradEr, la piattaforma online realizzata dall’Ufficio studi Unioncamere dell’Emilia-Romagna e appena pubblicata (frutto dell’analisi dei dati UN Comtrade, il database dell’Onu, che non coincide perfettamente con le elaborazioni Istat)

L’Italia per gli Stati Uniti

  • I dazi minacciati da Donald Trump non sarebbero un problema per gli americani: per loro l’Italia è solo l’undicesimo Paese esportatore negli Stati Uniti, terzo partner europeo dopo la Germania (che con 151 miliardi di euro di export è superata solo da Messico, Cina e Canada come controparte degli Usa) e dopo l’Irlanda (76,5 miliardi di euro). Il valore di Roma è di "appena” il 2,4% di tutto ciò che gli Stati Uniti importano ogni anno dal mondo

Il sorpasso in Emilia-Romagna

  • A preoccuparsi, invece, dovrebbero essere i prodotti italiani e le regioni italiane, specie in un momento storico nel quale i due storici partner commerciali dell’Italia, la Francia e la Germania, sono in crisi. Non è un caso, infatti, che nel corso di quest’anno proprio gli Stati Uniti abbiano sorpassato la Germania nell’export dell’Emilia-Romagna, la regione italiana a più alto tasso di internazionalizzazione

Il peso nelle altre regioni

  • Il venir meno di quel 2,4% di export in Usa può aver un grande valore per molte aree italiane se si pensa che Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Veneto messe assieme fanno i due terzi delle esportazioni italiane negli Usa. In Abruzzo, poi, le esportazioni negli States nei primi sei mesi del 2024 sono valse il 20,55% dell’export totale, mentre in Molise il 14,6%. In termini assoluti resta importante anche il valore registrato in Lombardia (6,76 miliardi) e in Toscana (5,41 miliardi)

Quali voci scendono e quali salgono

  • L'export italiano negli Stati Uniti è parecchio diversificato: autoveicoli, medicinali, impiantistica industriale e piastrelle sono oggi le principali voci del Made in Italy apprezzate. Se da un lato i dazi possono minacciare settori come l’automotive, la moda, la gioielleria, dall'altro potrebbero esserci opportunità di crescita per settori come le macchine da impieghi speciali, la nautica e l’aerospaziale

La simulazione

  • Pochi giorni fa Prometeia ha realizzato una simulazione dove vengono valutati alcuni scenari alternativi. La prima ipotesi immagina un aumento di 10 punti solo sui prodotti che già sono sottoposti a dazi e stima un costo aggiuntivo di oltre 4 miliardi. La seconda ipotesi simula invece un aumento tariffario generalizzato di 10 punti, il cui costo aggiuntivo supererebbe i 7 miliardi

Chi sarebbe penalizzato

  • In quest’ultimo scenario i dazi colpirebbero anche i beni a media e alta intensità tecnologica, in particolare nei settori della meccanica e nella farmaceutica, che sono oggi meno esposti alle tariffe. Un aumento limitato ai prodotti già esposti a tariffe, invece, peserebbe di più su moda e cibo. A essere più penalizzata sarebbe sicuramente la Germania, mentre Francia e Spagna pagherebbero un prezzo inferiore a quello dell’Italia

Una strada praticabile?

  • Secondo Prometeia sembra essere “una strada impraticabile per diversi motivi" la promessa di un dazio del 10% su tutto l'import e del 60% per le merci provenienti dalla Cina al fine di proteggere le industrie nazionali e ridurre le tasse sul lavoro, sostituendo queste entrate con quelle legate ai dazi. Sarebbero probabili, infatti, ritorsioni degli altri Paesi; si rischierebbero effetti controproducenti sulla competitività delle aziende americane importatrici e si penalizzerebbero i ceti meno abbienti, che sarebbero i più colpiti

Come andò la prima volta

  • Già tra 2018 e 2019, con la prima amministrazione Trump, l’Italia, come il resto dell’Unione europea, fu investita dalla prima ondata di dazi che colpirono in particolare i formaggi e l’export agroalimentare. Gli effetti furono limitati rispetto ad altri Paesi europei ma il governo italiano, guidato allora da Giuseppe Conte, riuscì a limitare i danni. A rischiare fu soprattutto il parmigiano, al centro di un tentativo di sensibilizzazione presso i deputati italo-americani che alla fine evitò che i dazi salissero dal 25 al 40 per cento.

Per approfondire: L'Unione europea alla prova del Trump 2.0