Nomine partecipate pubbliche, governo alla prova. Tensione sulle presidenze

Economia
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Settimana decisiva per le nomine delle grandi partecipate pubbliche: entro giovedì 13 devono essere presentati i nomi dei nuovi vertici di Enel, Eni, Leonardo, Poste e Terna. In salita chiusura di tutte le big: distanze Lega-FdI

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Il test delle nomine delle grandi partecipate di Stato resta ancora aperto e mette pressione sui partiti che sostengono il governo Meloni. In particolare la Lega teme di rimanere a bocca asciutta nella scelta dei vertici delle “big 5” (Eni, Enel, Poste, Leonardo e Terna). I contatti e le riunioni a distanza tra gli sherpa, sono proseguiti per tutto il fine settimana pasquale. Il tema delle nomine per le aziende partecipate dallo Stato, secondo le dichiarazioni di diversi ministri, non sarebbe stato affrontato nel Cdm di oggi. Il Consiglio dei ministri invece, secondo quanto si apprende, su proposta della premier Giorgia Meloni ha deliberato l'avvio della procedura per la nomina di Gabriella Alemanno e di Federico Cornelli a componenti della Consob.

Cosa sappiamo

Nella partita delle nomine i punti fermi al momento sono pochi, a parte la conferma di Claudio Descalzi alla guida dell'Eni data da tutti sostanzialmente per scontata. Anche l'ad di Poste Matteo Del Fante dovrebbe rimanere al suo posto (e potrebbe avere accanto una donna come nuovo presidente). L'intenzione della premier Meloni sarebbe quella di non fare rivoluzioni e mantenere "chi ha fatto bene" ai vertici, seguendo il criterio della "competenza" più che il manuale Cencelli. Soprattutto sugli amministratori delegati la premier fin dall'inizio aveva fatto sapere agli alleati di voler avere l'ultima parola. Lasciando spazio alle richieste di Lega e Fi sulle presidenze, sulla composizione dei consigli e anche, più avanti, sulla vasta platea delle società non quotate. La Lega vorrebbe almeno la presidenza dell'Eni (era circolato anche il nome dell'europarlamentare - ed euroscettico - Antonio Rinaldi), ma le caselle più incerte, e su cui si registrano tensioni incrociate, restano quelle di Enel e Leonardo, che, a cascata, si portano dietro la composizione dell'intero puzzle. Dato per certo, e condiviso, l'arrivo al capolinea per Francesco Starace e Alessandro Profumo, i problemi iniziano sui nomi dei loro sostituti.

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I nomi che circolano

Per l'Enel Meloni vorrebbe Stefano Donnarumma, liberando Terna dove potrebbe arrivare come ad Giuseppina di Foggia, vicepresidente di Nokia. Inserire almeno una donna tra gli amministratori delegati era peraltro uno degli obiettivi dichiarati in pubblico dalla premier. Ma l'intesa non c'è, e qualcuno, per superare l'impasse, ha suggerito anche di richiamare Fulvio Conti, già ad e direttore generale dell'Enel. "Si lavora in piena sintonia" minimizzano dal governo, e in fondo "c'è tempo, almeno un paio di giorni interi" di qui al 13, osserva un ministro. Per la presidenza dell'Enel sarebbe in lizza Paolo Scaroni, una candidatura "pesante" e cara a Forza Italia, che sarebbe ben vista dalla Lega che invece starebbe osteggiando Donnarumma. Oltre a Scaroni si fa il nome di Luciano Carta, attuale presidente di Leonardo dove sembrava fatta per il passaggio del testimone tra Profumo e Lorenzo Mariani, ad di Mbda sostenuto dal ministro della Difesa Guido Crosetto. Ma Meloni per quel ruolo fin da principio aveva immaginato Roberto Cingolani, l'ex ministro della Transizione ecologica di Mario Draghi, rimasto come consulente nel passaggio al nuovo governo.

Un ruolo per Cingolani?

La premier sarebbe intenzionata a procedere su questa linea anche se c'è chi, tra le alternative, vede anche la possibilità di una presidenza per Cingolani, magari con precise deleghe. Per la presidenza del colosso dell'industria della difesa e dell'aerospazio si fa anche il nome del generale Giuseppe Zafarana, attuale comandante della Guardia di Finanza, che a sua volta libererebbe una ulteriore casella da riempire. Sullo sfondo si sta consumando in Parlamento un braccio di ferro sul rinnovo della presidenza dell'Istat per Gian Carlo Blangiardo. Oggi è l'ultimo giorno utile per esprimere il parere (vincolante) ma servono i due terzi dei voti delle commissioni. E la maggioranza continua a non avere i numeri.

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