
Lavoro, il futuro è la settimana corta? Primi test in Italia. Ecco la situazione nel mondo
Quattro giorni a parità di stipendio: Banca Intesa San Paolo ha introdotto la nuova distribuzione di ore per i dipendenti nei giorni scorsi. All’estero c’è chi sperimenta una fase di prova, come la Spagna. In molti casi i livelli di produttività aumentano

La cosiddetta “settimana corta” sta iniziando a diffondersi con i primi esperimenti anche in Italia: l’esempio più celebre è Banca Intesa Sanpaolo. Il gruppo bancario guidato da Carlo Messina è stato il primo in Italia a introdurla
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Nel dettaglio, la proposta avanzata al personale prevede la possibilità di aumentare su base volontaria il lavoro flessibile da casa fino a 120 giorni all'anno, con un'indennità di buono pasto di 3 euro al giorno, per tener conto anche delle spese sostenute lavorando da casa, e di lavorare 4 giorni a settimana aumentando a 9 le ore giornaliere su base volontaria, a parità di retribuzione, senza obbligo di giorno fisso
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Anche Lavazza, come ricorda Repubblica, ha proposto un modello simile: i dipendenti, se vorranno, potranno uscire in anticipo il venerdì, sempre mantenendo intatto lo stipendio
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Nei giorni scorsi era intanto arrivata la notizia che la ditta Face sas, azienda artigiana di Cesena, accorcerà le ore settimanali, da 40 a 36. Il nuovo orario lavorativo sarà effettivo con l'inizio del 2023 per un periodo sperimentale di sei mesi. Si punta poi a prorogarlo. Tra i benefici aggiuntivi che emergono dalle prime sperimentazioni della settimana corta in Europa rientra anche l'opportunità di ottimizzare le risorse energetiche impiegate nella produzione, qualora il riposo settimanale avvenga in un unico giorno per tutti i lavoratori
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All'estero, questa modalità lavorativa è già diffusa, oppure è in corso di sperimentazione. In Belgio, per esempio, è stata approvata una legge che permette la settimana corta a parità di stipendio. Il lavoratore potrà proporla e il datore di lavoro avrà il diritto di rifiutare, ma sarà tenuto a specificarlo per via scritta e dovrà avere solide basi. È previsto in ogni caso un periodo di prova di sei mesi
Fra le nazioni europee a fare i primi test, ricorda Il Foglio, c'è l’Islanda. In totale 36 ore settimanali spalmate su quattro giorni a parità di stipendio. Il livello di produttività ne ha risentito in modo positivo

In Nuova Zelanda – era il 2018 – c’era stata una proposta da parte delle aziende stesse nei confronti dei lavoratori. L’idea è stata poi rilanciata dalla premier Jacinda Arden, che ha visto nella settimana corta la possibilità di rilanciare l’economia del Paese dopo la pandemia

Anche negli Emirati Arabi Uniti inizia a farsi strada una visione analoga: il sottosegretario aggiunto per la comunicazione e le relazioni internazionali Rashid Abdullah Al Nuaimi ha annunciato a inizio maggio i quattro giorni e mezzo lavorativi

La Scozia ha avviato una fase di prova a fine 2021. L’ha proposta lo Scottish National Party, che ha previsto anche un finanziamento di 10 milioni di sterline

In Giappone, la Microsoft aveva testato la settimana corta lavorativa nell’agosto del 2019 e aveva riscontrato un aumento della produttività del 40%. Buoni risultati erano stati rilevati anche in Panasonic. Tuttavia, non è ancora cambiato nulla

È ancora in corso invece il test in Spagna: iniziato nel 2021, si svilupperà in tre anni. L’idea, avanzata dal partito di sinistra Más País, è ridurre le ore lavorative a 32. La modalità era già stata messa in atto da alcune aziende durante la fase pandemica
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