
Dopo il boom del costo per assicurarsi contro il suo fallimento e il conseguente crollo delle azioni al minimo storico sui mercati, gli investitori si interrogano sul futuro del colosso del credito svizzero colpito da perdite per 1,6 miliardi di franchi dal crack, all'ingresso dello Stato fino alla ristrutturazione e la vendita, ecco tutti i possibili scenari

Non accenna a placarsi il nervosismo intorno alle sorti del Credit Suisse, il gigante bancario svizzero finito sull’orlo del fallimento dopo aver chiuso il bilancio semestrale con una perdita netta di 1,59 miliardi di franchi
Credit Suisse, cresce rischio default
L’istituto elvetico, reduce da scandali finanziari e manageriali che ne hanno minato conti e reputazione, ha visto la situazione precipitare venerdì, quando la quotazione del Credit Default Swap,, cioè la misura di quanto costa assicurarsi contro il fallimento del gruppo, ha raggiunto i 255 punti. Un dato, cinque volte superiore a quello di inizio anno e mai così alto dal 2009, che a inizio settimana ha causato un crollo del titolo di oltre il 10% su tutte le principali Borse europee portandolo al minimo storico (-55% da inizio anno)
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Mentre i top manager si sono attaccati ai telefoni per cercare di rassicurare clienti e investitori sulla solidità dell’azienda in termini di liquidità e capitale, a peggiorare la situazione si è aggiunto l’amministratore delegato Ulrich Koerner, che ha ammesso di trovarsi in "una fase critica” e annunciato un nuovo piano strategico per il 27 ottobre. Ecco così che analisti e comunità finanziaria continuano a interrogarsi su quale potrà essere il destino della banca, tra ipotesi di default, accorpamenti, restaurazione e nazionalizzazione

In realtà, la prospettiva di un default è considerata dai più remota per ragioni contabili e strutturali. I vertici aziendali hanno detto di avere una riserva di capitale di 100 miliardi di dollari, dato confermato dal Wall Street Journal, secondo cui la liquidità dell’istituto ammonta 238 miliardi e non sarebbe stata intaccate da giugno. Diversi analisti, tra cui Swissquote, ritengono inoltre che le autorità svizzere non lascerebbero mai fallire la banca data l'importanza sistemica e il danno d’immagine che questo potrebbe arrecare la Paese

Un’ipotesi che si fa largo è quindi quella di una nazionalizzazione o comunque di un aumento di capitale parzialmente finanziato dallo Stato. Secondo Kbw, Deutsche Bank e altre società di analisi, Credit Suisse avrebbe bisogno di nuovi fondi per almeno 4 miliardi di dollari e parte di questi denari potrebbe arrivare proprio da Berna: nel precedente caso di Ubs, la Confederazione aveva messo sul piatto aiuti per 60 miliardi

Un altro scenario al vaglio del mercato è quello che contempla l’acquisizione di Credit Suisse da parte di un concorrente. Indiscrezioni in tal senso erano già circolate in estate, quando la stampa di settore aveva rivelato l’interessamento del colosso finanziario di Boston State Street a rilevare l’istituto alla cifra di 23 miliardi di dollari

La comunità finanziaria ha anche ipotizzato che l'istituto possa inaugurare una stagione di massici tagli ai posti di lavoro per ridurre i costi del lavoro. Ad essere coinvolto sarebbe il 10% dei 45 mila dipendenti globali: a inizio settembre il quotidiano svizzero Sonntagszeitung aveva scritto che il board stava discutendo dell’addio a circa un circa 5mila addetti

La misura potrebbe andare di pari passo con la creazione di una "bad bank", ossia una società ad hoc in cui convogliare passività e crediti ormai inesigibili che potrebbero essere poi acquistati dallo Stato. La stessa banca la scorsa settimana non ha escluso di poter vendere la sua divisione di prodotti cartolarizzati

Molto dipenderà anche dalle misure che Koerner deciderà di approntare nel piano di risanamento appena annunciato. A riguardo, pare che la banca stia considerando la possibilità di cedere le attività di asset management dell'America Latina, con l'esclusione del Brasile, ma anche di rispolverare il vecchio brand First Boston, risalente agli anni 90 ma poi abbandonato nel 2006

Il Credit Suisse ha visto la sua redditività e il suo capitale erodersi per effetto di una serie di scandali e scelte azzardate, culminate nelle perdite generate dal collasso dell’hedge fund Archegos e da Greensill. Il primo è costato circa 5 miliardi di dollari mentre il secondo ha fatto perdere al gruppo 4,8 miliardi
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