
Secondo la Yale School of Management la maggior parte delle aziende occidentali ha lasciato il mercato russo o sospeso il proprio business. Ma altre hanno solo ridotto le operazioni o annullato nuovi investimenti. In 36 invece non hanno fatto alcuna scelta

Alcune aziende non hanno rilasciato dichiarazioni o hanno confermato tutti i propri piani di sviluppo in Russia. Tra questi c'è Auchan, la catena di grande distribuzione francese che impiega 30mila dipendenti nel paese, dove fattura circa il 10% dei suoi ricavi gobali. Secondo Reuters la Russia è il suo terzo mercato, dopo Francia e Spagna. Nella stessa condizione è anche Danone, che impiega in Russia 8mila persone.

Altro marchio francese che non ha lasciato il paese è Leroy Merlin, che non prevede cambiamenti nelle proprie operazioni in Russia né chiusure dei suoi 112 negozi nel paese. Anzi il vicedirettore generale della filiale russa ha affermato che "dopo l'uscita dal mercato russo di alcuni player, siamo aperti a proposte per aumentare le forniture e ampliare la gamma".

Seguono poi una lunga lista di aziende che non hanno lasciato la Russia, ma hanno ridotto l'operatività. É il caso di Pirelli, di cui sono azioniste società cinesi, che produce nel paese il 10% dei propri pneumatici secondo Reuters. Il gruppo ha deciso di ridurre la propria produzione in modo da continuare a pagare gli stipendi, ma non l'ha sospesa.

Unicredit è tra le banche europee che prima della guerra facevano più affari con Mosca. La banca meneghina vanta crediti per quasi 8 miliardi di euro con clienti russi, che ora rischia di non vedersi più restituiti. L'amministratore delegato Andrea Orcel ha affermato che "abbiamo bisogno di considerare seriamente l'impatto e le conseguenze e la complessità del distacco di una banca completa dal paese".

Anche Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana, ha delle attività in Russia. In questo caso l'esposizione arriva a circa 5 miliardi di euro, l'1% del totale. I suoi dipendenti nel paese sono 780. Per le banche che vogliono uscire dal business russo si pone anche il problema di vendere i propri asset: chi sarebbe disposto a comprarli a un prezzo accettabile?

Il marchio di Burger King, a differenza del competitor McDonald's, è ancora attivo in Russia. Il motivo è che gli 800 ristoranti aperti nel paese sono gestiti in franchise da un'azienda russa, che si è rifiutata di chiuderli. Burger King ha affermato di non avere il potere di prendere la decisione di chiudere in modo unilaterale.

Lo stesso problema di Burger King lo deve affrontare anche la catena Subway, il cui logo appare nell'insegna di circa 450 negozi rimasti aperti perché gestiti da ristoratori indipendenti. L'azienda ha annunciato che donerà i profitti generati in Russia per attività umanitarie in Ucraina. Nella stessa condizione si trovano anche le catene di hotel Accor e Marriot.

Le aziende farmaceutiche americane come Pfizer hanno sospeso i nuovi investimenti e i trial clinici in Russia, ma hanno mantenuto la vendita di farmaci salva-vita per evitare ripercussioni sui pazienti che devono assumerli periodicamente. Una decisione simile è arrivata da Nestlé, che ha mantenuto la vendita di beni primari - quindi tutti gli alimentari - mentre ha sospeso la distribuzione di altri prodotti, come le capsule per i caffé. Per alcuni utenti dei social network che hanno invitato al boicottaggio la decisione non è sufficiente.