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Oppio, i talebani promettono lo stop: ma l'Afghanistan è al centro delle rotte dell'eroina

Economia

Lorenzo Borga

I miliziani, preso il potere a Kabul, hanno promesso di fermare il narcotraffico. Il Paese è il primo produttore al mondo di oppio, da cui si ricava anche l’eroina. Un mercato che vale da solo circa il 10% del Pil dell'Afghanistan. Lo Skywall

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L’Afghanistan è considerato un paese povero, il suo Prodotto interno lordo (Pil) non arriva nemmeno a 20 miliardi di dollari americani (l’Italia raggiunge quasi i 1.900, per capirci). Tranne che per un mercato, benché illegale: la produzione di oppio. Questo stupefacente ottenuto dai papaveri è infatti largamente coltivato nel Paese, che è di gran lunga il primo esportatore al mondo. Sarà probabilmente questo business a essere il più impattato dal cambio di regime in Afghanistan, visto che non ospita grandi aziende né presenta altri settori economici di rilievo.

 

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), l’Afghanistan produrrebbe l’81% dell’oppio secco, seguito dal Messico (6%) e dal Myanmar (5%). Non a caso Kabul è anche al centro dei principali traffici al mondo di eroina - l’oppiaceo più diffuso, di cui fino a 600 tonnellate arriverebbero dall’Afghanistan - mentre secondo l’agenzia europea per il monitoraggio del traffico di droga (EMCDDA) sarebbe in forte aumento anche la produzione di metamfetamine.

Una produzione in aumento

La produzione afghana negli ultimi anni è in aumento, nonostante dal 2018 stia rallentando a causa della diminuzione del prezzo, ai minimi almeno dal 2004. Il picco è stato raggiunto nel 2017, dopo essersi quasi azzerata nel 2001 a causa dell’invasione del Paese da parte della coalizione internazionale e del divieto temporaneo imposto nel 2000 dai talebani, quando erano ancora al potere. Nonostante gli sforzi della Nato per debellare la coltivazione di oppio, la produzione è risultata quasi sempre superiore al trend precedente all’intervento internazionale. I soli Stati Uniti hanno speso circa 9 miliardi di dollari in attività anti-narcotraffico negli ultimi vent’anni, senza raggiungere gli obiettivi sperati.

Il motivo principale è che il solo oppio contribuisce al PIL afghano ufficiale per circa il 10% (stima UNODC) e supera da solo l’intero export legale del Paese. I proventi dunque sostengono centinaia di migliaia di famiglie (i coltivatori che si dedicano all’oppio guadagnerebbero il 40% in più di chi non lo fa), oltre ai gruppi militari e ai vertici politici e militari afghani che illegalmente traggono profitto dalla produzione e dal commercio dell’oppio.

L’oppio finanzia (anche) i talebani

Infatti, sempre secondo l’UNODC che ha condotto un sondaggio nella regione Sud-Ovest del Paese, il 58% delle tasse imposte ai coltivatori andavano nel 2019 in mano ai talebani, il 15% ai potentati locali, il 10% a gruppi antigovernativi, il 9% a polizia e pubblici ufficiali, l’8% ad altri.

La regione del Sud-Ovest (tra Helmand e Kandahar) è stata scelta per il sondaggio perché è quella da cui proviene la maggior parte dell’oppio, ed è storicamente sotto il controllo dei talebani.

Il gruppo ha infatti sempre sfruttato questo commercio per finanziare le proprie attività (secondo gli Usa rappresenterebbe il 60% delle entrate dei talebani): proprio per questo staremo a vedere se rispetteranno questa volta la promessa – espressa dal portavoce nella prima conferenza stampa dalla presa di Kabul – di «fermare la produzione di droga in Afghanistan». In molti ci hanno provato, i talebani stessi prima e poi anche gli americani, senza successo. Troppi gli interessi in campo, sia internazionali (i profitti prodotti all’estero dal traffico di droga proveniente dall’Afghanistan sono infatti molto maggiori rispetto a quelli ricavati nel Paese) sia domestici. Anche dei coltivatori e dei braccianti che ci lavorano, centinaia di migliaia di persone e famiglie che spendono quei soldi soprattutto per comprare cibo, medicine e ripagare i debiti. Insomma, beni di prima necessità senza i quali la loro condizione sarebbe ancora peggiore. Se si vorrà davvero estirpare la produzione di oppio dal Paese bisognerà dunque trovare una valida alternativa di sviluppo.