Il Ministro dell'Economia ha garantito il sostegno del governo ai lavoratori che dovranno lasciare Mps. La linea del governo è la vendita di Mps, ma no a smembramenti.
Il ministro dell’Economia Daniele Franco in audizione in commissione Finance congiunta di Camera e Senato ha fissato alcuni paletti dell’azione del governo sulla possibile vendita di Monte dei Paschi di Siena, oggi controllata dal Ministero al 64 per cento, a Unicredit, unico acquirente che si è manifestato negli ultimi anni. Prima di tutto il perimetro dell’operazione: il gruppo guidato da Andrea Orcel ha già chiarito che non intende accollarsi i 4 miliardi di crediti deteriorati in pancia a Mps, sebbene ridotti rispetto al passato (oggi sono meno del 5 per cento), né i rischi legali. Il governo, per voce di Franco, ha dunque voluto rassicurare sul rischio spezzatino, affermando che Mps non sarà smembrata.
Ipotesi "stand alone"
Franco ha escluso l'ipotesi di un rafforzamento autonomo della banca senza acquisizioni, spinto da una parte della maggioranza, vista la debolezza strutturale di Monte dei Paschi segnalata anche dai recenti stress test che l’hanno posizionata in fondo alla classifica tra le banche europee. Per rafforzarla già oggi sarà necessario probabilmente un aumento di capitale ben maggiore - secondo Franco - rispetto a quello di due miliardi e mezzo previsto. Per questo l'ipotesi Unicredit è la preferita del governo: «auspico che si chiuda e lo auspico fortemente» ha detto il ministro «e credo ci siano margini per le soluzioni ma non chiuderemo a qualsiasi costo, nè noi nè Unicredit».
Franco: rischio più di 2.500 esuberi volontari
L’altro fronte caldo è quello dei lavoratori. Oggi in Mps lavorano circa 21mila dipendenti, che verranno ridotti tramite esuberi volontari di un numero probabilmente ben maggiore rispetto ai 2500 previsti oggi dal piano industriale di Mps. Anche su questo Franco ha rassicurato, garantendo il supporto dell'esecutivo ai lavoratori: «il governo garantirà la massima attenzione alla tutela dei lavoratori utilizzando gli spazi negoziali e definendo i presidi a tutela dell'occupazione del territorio con una pluralità di strumenti e iniziative. Anche la tutela del marchio rappresenterà una priorità del governo».
E poi ci sono i conti da fare su quanto ci dovranno mettere i contribuenti. Dopo il salvataggio del 2017 deciso dal governo Gentiloni che costò 5,4 miliardi, questa volta il conto potrebbe anche essere superiore. Di certi ci sono già la dote fiscale per Unicredit (le Dta) di 2,2 miliardi, l’aumento di capitale fino a 1 miliardo e mezzo, i costi dei crediti deteriorati e quelli per gli esuberi, che potrebbero essere in carico a Mps. Sperando che questo sia l’ultimo capitolo dei recenti interventi pubblici volto a tutelare il risparmio nel settore bancario – messo in ginocchio da episodi di mala gestione, dalla tecnologia e dalle condizioni macroeconomiche - che dalla crisi del debito a fine 2021 costeranno ai contribuenti più di 20 miliardi di euro.