L'accelerazione dell'economia, spinta dall'arrivo della ripresa post-crisi, sta mettendo in crisi le catene globali del valore e il commercio internazionale. E gli effetti potrebbero arrivare fino ai consumatori finali.
L'economia industriale, che qualcuno forse pensava aver ormai passato il testimone a quella digitale, si è ripresa la scena. Il sistema economico globale sta infatti soffrendo dall’inizio dell’anno l’aumento dei prezzi di alcune materie prime, forse date per scontate dai più: i prezzi di grano, rame, alluminio, legname e acciaio sono schizzati verso l’alto dalla fine dell’anno scorso. Gli analisti di Jp Morgan si stanno appunto chiedendo se siamo di fronte a un nuovo “super-cycle” delle materie prime, come già avvenuto l’ultima volta con l’inizio del nuovo Millenio. La causa è essenzialmente l’arrivo della ripresa economica, iniziata dagli Stati Uniti, mentre la Cina non si è mai di fatto fermata. La crisi economica dovuta al Covid-19 è stata infatti repentina - il mondo si è bloccato in due mesi - e così dovrebbe essere anche la ripresa. Molte famiglie hanno infatti potuto risparmiare i soldi che avrebbero altrimenti speso in viaggi o cene al ristorante, e sono pronte ora a sborsarli con l’accelerazione delle vaccinazioni e le riaperture.
L'aumento dei prezzi
Le ragioni degli incrementi sono diverse. A sostenere l’aumento del prezzo di legname e rame è per esempio il boom del settore immobiliare negli Stati Uniti.
Il prezzo di litio e terre rare, invece, deve il rally verso l’alto alla progressiva transizione green dell’economia. E anche l’acciaio, per anni contraddistinto da una sovra-capacità di Stati Uniti e Unione Europea, ha raddoppiato il suo prezzo in un anno. L'apprezzamento del grano invece, secondo Bloomberg, sarebbe dovuto ai raccolti deludenti di alcuni paesi produttori, come Brasile e Francia. In comune invece tutti i settori condividono la paura di nuovi lockdown e chiusure, e la conseguente tendenza ad accumulare riserve e garantirsi margini di sicurezza, che alimentano la domanda e dunque i prezzi.
Di mezzo ci sono infatti anche i trasporti: il blocco del Canale di Suez è stato solo un sintomo del surriscaldamento del commercio globale. In Cina, la fabbrica del mondo, il prezzo dei container è raddoppiato da novembre a oggi.
I microchip introvabili
Ma non è solo l’economia del Novecento a soffrire la carenza: da mesi le compagnie tecnologiche si accaparrano sul mercato i pochi microchip a disposizione. Si tratta di microprocessori grandi pochi nanometri, ma essenziali per far funzionare ogni oggetto tecnologico: dal tostapane allo smartphone, fino a un missile balistico. E, per l’enorme domanda stimolata da smart working e Dad durante i lockdown e per i rallentamenti delle fabbriche asiatiche dovuti a blocchi commerciali e regole anti-Covid, sul mercato siamo di fronte a una carenza drammatica di questi componenti. Tanto che per comprare un televisore, o una console di giochi, talvolta bisogna attendere alcune settimane, o pagare prezzi elevati. Ancora peggio è messo il settore automobilistico, che si è lentamente ripreso solo negli ultimi mesi e che utilizza i microchip per le sempre più numerose funzionalità tecnologiche delle auto. Tanto che diversi marchi sono stati costretti a sospendere le produzioni in alcuni impianti: General Motors e Ford hanno tagliato la produzione negli Usa, e anche Stellantis ha fermato 5 impianti, tra cui la fabbrica Fca di Melfi.
A questo punto la domanda spontanea è se ci saranno effetti sui consumatori. Quando infatti la domanda supera l’offerta, il prezzo tende a salire, anche per il consumatore finale. Gli analisti infatti si attendono un forte contributo della carenza di materie prime sull’aumento dell’inflazione nei prossimi mesi. Ce ne accorgeremo tutti, anche nel carrello della spesa.