La svalutazione dello Yuan e i timori per il rallentamento dell'economia di Pechino trascinano verso il basso i listini mondiali: Shanghai perde oltre il 7% mentre il Dow Jones chiude a meno 2,32%
Nuovo violento scossone dei mercati finanziari internazionali in scia al crollo dei listini in Cina, con la svalutazione dello yuan a innescare ancora una volta grandi turbolenze. E un 'guru' di Wall Street come il finanziere George Soros getta benzina sul fuoco e avverte: "La Cina ha un problema di aggiustamento. Quando guardo ai mercati finanziari ci sono difficoltà che mi ricordano il 2008".
Giù tutte le borse asiatiche - Il timore del resto sembra essere proprio questo e alla fine non ce n'è per nessuno: fermata per eccesso di ribasso Shanghai perde il 7,04%, e in scia crollano tutti i mercati asiatici. Tokyo perde il 2,33%, Sydney il 2,2% e Seul l'1,1%. Col passare delle ore il contagio si allarga, van giù le materie prime fino a quando il petrolio tocca i minimi da 12 anni portandosi a New York a 32,1 dollari, salvo poi col passar delle ore contenere i danni e arrivare sulla parità alla chiusura dei mercati europei.
Male anche le piazze europee e Wall Street - Dopo l'avvio in caduta, anche i listini europei e Wall Street si ricompongono, ma il bilancio resta comunque pesante: dal calo del 3,2% in apertura Milano chiude poi in perdita dell'1,14%, con lo spread appena sopra i 100 punti base. Londra cede nel finale l'1,96% e Francoforte termina in calo del 2,29% mentre l'indice Dax va sotto i 10 mila punti. A Wall Street - con un portavoce della casa Bianca che che fa sapere che gli Usa continuano a monitorare gli sviluppi della valuta cinese e i movimenti sui mercati - il Dow Jones perde il 2,32% a 16.514,77 punti, il Nasdaq cede il 3,03% a 4.689,43 punti mentre lo S&P 500 lascia sul terreno il 2,4% a 1.943 punti.
Lo scossone arrivato dalla Cina - Il copione della giornata ricalca in parte quello di inizio anno. Le tensioni sullo yuan cinese hanno indotto una nuova svalutazione da parte delle autorità di Pechino, con il più deciso intervento da agosto. Come lunedì sono poi fioccati i cali a Shanghai, in una gara a vendere prima che scattasse la tagliola della sospensione per eccesso di ribasso, arrivata effettivamente dopo appena 29 minuti di scambi. La banca centrale cinese ha comunque avvertito con chiarezza di poter tener testa alle speculazioni e che l'economia del paese non ha bisogno di svalutazioni competitive. Fatto sta che già in giornata le autorità di Pechino hanno poi corretto alcune delle storture 'boomerang' introdotte, quelle misure per frenare la caduta dei mercati rivelatesi invece controproducenti: innanzitutto è stato rimosso il meccanismo di sospensione automatica che a fronte di perdite superiori al 7% fermava la Borsa per l'intera giornata (era entrato in vigore proprio questa settimana con i pessimi risultati visti). E poi in vista della temuta scadenza venerdì 8 dello stop alle vendite di partecipazioni in società quotate da parte dei grandi azionisti, deciso durante la crisi di luglio, è stata introdotta una nuova procedura 'aggravata' per lo smobilizzo di grandi quote sul mercato: gli investitori non potranno vendere più dell'1% nell'arco di 3 mesi, dandone notifica anticipata di 15 giorni.
Pesano i timori per il rallentamento cinese - Anche soprassedendo sulle contraddizioni di un mercato cinese rigidamente regolato, resta il fatto che i timori di un rallentamento dell'economia di Pechino sono sempre più concreti. Le riserve valutarie del Paese continuano a calare, a fine 2015 sono scese di quasi 108 miliardi di dollari a 3.330 miliardi, sintomo di interventi importanti per sostenere lo yuan, in scia alla fuga dei capitali in atto. Mercoledì sera la Banca Mondiale aveva rivisto al ribasso le stime sulla crescita globale per il 2016 e 2017, sui possibili rischi di contagio dai mercati emergenti. E in questo contesto le tensioni tra Arabia Saudita e Iran, con anche "l'esibizione" nucleare della Corea del Nord di Kim Jong-un, non possono che aggravare il quadro. Un discorso ulteriore va fatto invece sulla continua discesa del petrolio, dove oltre ai timori sulla crescita cinese, e all'ormai strutturale sovrapproduzione, le tensioni tra i grandi paesi produttori non fanno che allontanare le probabilità di un taglio alla produzione concordato, appesantendo ulteriormente quotazioni e bilanci dei paesi produttori. Il rublo ad esempio nei cambi offshore viaggiava in giornata in calo del 2% (i mercati a Mosca sono chiusi fino a lunedì per il Natale ortodosso).