La tredicenne scomparve il 26 novembre 2010 a Brembate di Sopra. Il suo corpo venne ritrovato tre mesi dopo. Il muratore, all'epoca 43enne, è l'unico imputato e viene condannato in primo e secondo grado all’ergastolo. A ottobre 2018 arriva la sentenza della Cassazione
La tredicenne Yara Gambirasio scompare il 26 novembre 2010 a Brembate di Sopra dopo aver lasciato la palestra in cui fa ginnastica ritmica, a 700 metri da casa sua. Il corpo viene ritrovato tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un campo a Chignolo d'Isola. Gli investigatori isolano una traccia di dna maschile sui leggins e slip della ragazza: un dna simile a quello trovato mesi dopo su una marca da bollo di un uomo morto nel 1999, Giuseppe Guerinoni. Da qui nasce l’ipotesi di un figlio illegittimo, ribattezzato “Ignoto 1”. Nel giugno 2014 viene arrestato Massimo Bossetti, muratore di Mapello, il cui Dna risulta coincidere con quello di Ignoto 1. Il processo a Bergamo si è concluso con la condanna all’ergastolo per Bossetti. Nel 2017 è iniziato il procedimento d’Appello che si è concluso con la conferma dell'ergastolo. Ora si attende la sentenza della Cassazione (LA FOTOSTORIA DEL CASO).
Dalla scomparsa al processo d'appello
Sono passati quasi 8 anni tra la sparizione della giovane e la sentenza della Cassazione. Quando Yara Gambirasio scomparve aveva 13 anni. Venne vista per l'ultima volta mentre lasciava la palestra di Brembate di Sopra, il paesino in provincia di Bergamo dove viveva con la famiglia. Il cadavere di Yara fu ritrovato tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, a 10 chilometri di distanza dalla palestra, in un terreno incolto di Chignolo d'Isola. La 13enne era stata uccisa sul posto con delle coltellate, ma era morta anche per il freddo.
Le prime indagini e l'arresto sbagliato
In una prima fase delle indagini, l'attenzione degli inquirenti si concentrò su Mohammed Fikri, di origini marocchine. Fikri venne arrestato mentre si trovava su un traghetto diretto a Tangeri. A incastrarlo fu un'intercettazione in cui sembrava che Fikri chiedesse perdono. Ma la traduzione risultò in seguito sbagliata e Fikri venne definitivamente scagionato.
Le indagini e le prove del Dna
Dopo il ritrovamento del corpo di Yara, gli inquirenti riuscirono a rilevare, su slip e leggings, una traccia di sangue diversa da quella della 13enne. Venne così identificato un profilo di Dna, battezzato "Ignoto 1" e avviata una campagna a tappeto di prelievi tra la popolazione del posto per arrivare all'identificazione del sospetto. Attraverso l'esame di vari soggetti del ramo familiare con profilo genetico correlato, gli inquirenti arrivarono a Giuseppe Guerinoni, autista di Gorno morto nel 1999, identificato come padre del ricercato. Il suo dna venne estratto da una marca da bollo presente su una vecchia patente. Si apre così la "pista di Gorno". Il profilo di "Ignoto 1", però, non corrisponde a quello dei figli di Guerinoni. Gli inquirenti, così, arrivarono a colei che la genetica identificherebbe come la madre di "ignoto 1": la signora Ester Arzuffi, che negherà di aver mai avuto una relazione con Guerinoni.
L'arresto di Massimo Bossetti
Ester Arzuffi ha un figlio: Massimo Bossetti, muratore di 45 anni, sposato e padre di tre figli. L'uomo venne arrestato, dopo aver raccolto il suo Dna con la scusa di un controllo all'etilometro, il 16 giugno 2014. Le indagini a suo carico vennero chiuse nel febbraio del 2015, con la richiesta di rinvio a giudizio. Il 3 luglio l'apertura del processo a carico di Bossetti, con l'accusa di omicidio pluriaggravato, davanti alla Corte d'Assise di Bergamo. Per l'accusa, a incastrare l'imputato fu la "prova regina" del Dna, oltre ad alcune immagini di una videocamera che avrebbero ripreso il suo furgone passare davanti alla palestra pochi minuti prima della scomparsa di Yara. La difesa sostenne che la traccia di Dna mitocondriale, che indica la linea materna, non corrispondeva al loro assistito; oltre al fatto che il Dna prelevato fu "contaminato" e che le modalità di custodia e conservazione rappresentarono altri "tallone d'Achille" di un processo solo "indiziario".
La condanna in primo grado per Bossetti
Bossetti si è sempre dichiarato "innocente". Durante il processo la Corte negò altri accertamenti chiesi dalla difesa sul Dna e il primo luglio 2016 la Corte condannò Bossetti all'ergastolo, riconoscendo l'aggravante della crudeltà, e a un risarcimento di 1,3 milioni alla famiglia Gambirasio. A Bossetti venne inoltre revocata la patria podestà sui tre figli.
La conferma dell'ergastolo in Appello
Il 30 giugno 2017 l'inizio del processo di secondo grado davanti alla Corte d'assise di Brescia. Bossetti, durante la dichiarazione spontanea, ha continuato a ribadire la sua innocenza: "Non posso marcire in carcere per un delitto che non ho commesso - ha affermato - Se fossi io l'assassino, sarei pazzo a chiedervi la perizia, io non mai fatto male a nessuno. Quel Dna non è mio. Sono innocente, non sono un mostro". La sentenza è arrivata poco dopo la mezzanotte del 18 luglio 2017 e ha confermato l'ergastolo.
La sentenza di Cassazione
Il 12 ottobre 2018, la Suprema Corte riesamina il caso del muratore, in carcere dal 14 giugno del 2014, e i suoi avvocati, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, in un ricorso di 600 pagine hanno chiesto che l'ultima sentenza al carcere a vita sia annullata. Troppi i dubbi e le storture che, a loro avviso, caratterizzano la formazione della principale prova a carico di Bossetti: il Dna trovato sul corpo della ragazza che corrisponde, secondo due processi, a quello dell'imputato.