
Coronavirus, le foto di Gabriele Galimberti raccontano Milano in lockdown
Si chiama Inside Out il progetto che il noto fotografo toscano ha realizzato durante le prime settimane di isolamento dell'emergenza coronavirus in Italia. Ritratti posati per i quali "non potendo entrare in casa per ragioni di sicurezza, i soggetti sono diventati anche assistenti", racconta l'autore, intervistato da Chiara Piotto per la rubrica "Lo spunto fotografico"

Nelle prime settimane di diffisione globale del coronavirus, Inside Out ha saputo immortalare - con ritratti intimi e contestualizzati - il mosaico di emozioni e paure che animava gli abitanti di Milano, una delle prime città al mondo a sperimentare il lockdown per limitare i contagi

Il progetto di Gabriele Galimberti ritrae le distanze nell'isolamento: "Il 7 marzo avevo un aereo per Manila, dovevo restare un mese nelle Filippine per fare un lavoro per National Geographic", ci racconta il fotografo. "La sera del 6 mi hanno chiamato per dirmi che era saltato a causa dell'epidemia. Sono rimasto a Milano per documentare i primi giorni di lockdown".
Il sito ufficiale di Gabriele Galimberti
I soggetti sono ritratti nei loro ambienti: ""Vediamoci, ma dalla finestra”, hanno iniziato a rispondermi i primi che ho contattato. Da lì l'idea di incorniciarli nelle finestre o nei portoni dei palazzi. Ho scelto di non fare scatti "rubati", ma posati. Ciascuno di loro mi raccontava come stava vivendo quel momento particolare".
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Le persone sono inquadrate frontalmente, con luci artificiali. Per costruire il set è stata necessaria la collaborazione degli stessi soggetti: "Non potendo interagire né entrare in casa, scattare è stato più complicato", dice Galimberti, "ho dovuto prendere le luci, sterilizzarle, passarle attraverso le finestre, indicare ai soggetti dove piazzarle e come usarle. Sono stati soggetti e assistenti"

Muoversi in città per scattare non è stato difficile, nonostante gli spostamenti fossero limitati al massimo in quei giorni di marzo: "Come giornalista e grazie al contratto con National Geographic non ho avuto problemi. A Milano non sono mai stato fermato, con o senza attrezzatura".
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"Con un’assegnazione di progetto è stato più facile muoversi, per i freelance era più rischioso", continua Galimberti: "quelli più temerari sono usciti comunque, rischiando di essere fermati, altri hanno rinunciato a lavorare, anche per paura di rimanere contagiati".
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"I primi soggetti scelti sono stati miei amici, poi ha fatto tutto il passaparola. Ho selezionato le persone in isolamento al pianterreno o al primo piano", aggiunge il fotografo, che ha accompagnato ogni scatto con le testimonianze sulla vita durante l'isolamento.
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In questa fotografia si vedono Michela, Luca, Agata e Giovanni Volta, che abitano in un quartiere verde di Milano: "Il concetto di smart working sembra fantastico, ma con due bambini in casa può diventare un inferno", hanno raccontato al fotografo.

Daniele e Anna, set designer, sono ritratti nella loro casa-serra: "All'inizio della quarantena sembrava quasi una vacanza, anche se forzata, un modo per dedicare del tempo alla nostra vita di coppia. Con il passare dei giorni però sono cominciate le preoccupazioni".

Gabriele Galimberti, classe '77, è nato in Val Di Chiana e viaggia spesso per reportage e servizi, che pubblica su testate italiane e internazionali tra cui National Geographic, The Sunday Times, Stern, Geo e Le Monde.

Dopo un esordio da fotografo pubblicirario, Gabriele ha iniziato a lavorare come documentarista, raccontando la realtà prevalentemente attraverso i ritratti posati, realizzati "nel contesto naturale" del soggetto. Tra i suoi ultimi progetti, Toy Stories, In Her Kitchen, My Couch Is Your Couch and The Heavens
Il sito di Gabriele Galimberti