La disabilità di Sara e Alessandro: “Sui social per cambiare il racconto. Siamo unici"

“Una delle motivazioni che mi ha spinto a pubblicare i video sui social è che di disabilità si parla poco e male. Spesso, ci dimentichiamo che dietro a una carrozzina o a un bastone c’è una persona. Vediamo solo il problema”. Alessandro Velata ha poco più di vent’anni ed è in sedia a rotelle da quando ne aveva sedici. Le sue pagine Instagram e Tik Tok sono piene di clip in cui, insieme alla fidanzata Anita, prende in giro la sua disabilità e smonta i pregiudizi di chi gli diceva: “Avrai una vita piena di limiti”. Sara Ciafardoni è una ragazza impegnatissima. Ha 19 anni, studia ingegneria e scrive libri per Mondadori Electa. Nelle sue giornate, la malattia che l’ha costretta in sedia a rotelle da quando era una bambina è marginale. “O meglio – precisa Sara – ho imparato ad accettarla, le ho dato un nome e ho capito che il mio dolore non ha nulla in più o in meno di quello di un ragazzo o di una ragazza affetti da un disturbo alimentare o da una malattia mentale. Per questo nei libri che scrivo cerco di dare voce alla sofferenza dei miei coetanei: voglio essere un megafono del dolore dei più giovani, affinché sappiano di non essere soli. Poi, sulle mie pagine social mi piace ironizzare sulla mia condizione. Perché il riso è un linguaggio universale e abbatte tutte le diversità”. Alessandro e Sara sono solo due dei ragazzi che hanno deciso, nel loro piccolo, di cambiare la narrazione sulla disabilità. Non vogliono essere compatiti, ma essere degli interlocutori validi per fornire soluzioni volte all’inclusività. Allo stesso tempo, vogliono prendersi in giro e godersi la loro vita al massimo. Le cicatrici sono il terreno su cui nascono i fiori La sindrome della spina bifida viene diagnosticata a Sara quando ha poco più di due anni. “Mia mamma – racconta - ha scoperto di essere incinta di me mentre si stava sottoponendo a una chemioterapia sperimentale. I medici le consigliarono di interrompere la gravidanza, ma lei l’ha vista come un segno di vita in un momento di morte. Quando sono nata ho fin da subito avuto delle problematiche: i miei genitori mi prendevano in braccio e io piangevo dal dolore. Dopo molte analisi abbiamo avuto il responso della malattia”. Da quel momento la vita di Sara è stata divisa tra tentativi di normalità e ricoveri in ospedale. “Sono stata sottoposta in tutto a nove interventi. L’ospedale era diventato una seconda casa: vedevo cambiare i miei compagni di stanza, ma io rimanevo sempre lì. La mia famiglia è stata forte. Nonostante abbiano affrontato prima il tumore di mia mamma e poi la mia malattia, non hanno mai smesso di sorridere”. Per Sara la sofferenza è stata, fin dalla nascita, una sensazione con cui convivere, a cui fare l’abitudine. “Non conosco una vita senza dolore. Per me – sorride – sarebbe più strano non averlo, non conosco il contrario di questa parola. Ho fatto vari interventi, che mi hanno lasciato delle cicatrici profonde. Mi sono sempre vergognata di queste cicatrici, tanto da non voler andare al mare. Il mio neurochirurgo mi aveva consigliato di coprirle con un tatuaggio, una volta compiuti 18 anni. Ho aspettato quel momento con impazienza, ma quando ho raggiunto la maggiore età ho capito che non volevo coprirle. Le mie cicatrici sono un segno di forza. Il dolore non deve essere nascosto, ma affrontato. Non possiamo nascondere la sofferenza come polvere sotto il tappeto, perché poi si accumula e diventa troppa. Anzi, il dolore può essere un grande insegnante e le cicatrici sono un terreno fertile dove nascono i fiori più belli. Grazie a tutta la sofferenza che ho provato, io mi emoziono ancora se vedo un tramonto o i girasoli in autostrada”. Ciò che Sara ritiene una grande fortuna è la sua ironia e la capacità di scherzare su tutto, caratteristica che le ha trasmesso la sua famiglia. “Da bambina prendevo un farmaco che mi provocava la balbuzie. Ancora oggi, se qualcuno dei miei parenti incespica con le parole gli chiediamo se ha preso quel farmaco. La capacità di ridere della mia famiglia mi ha salvata, ma i miei problemi sono arrivati quando mi sono confrontata con i miei coetanei. Ricordo che se invitavo delle mie amiche a casa non mi volevo far vedere in sedia a rotelle e mi facevo trovare sulla poltrona o sul divano. Ecco, lì sono stata stupida. Perché la mia differenza non sta in dove mi metto a sedere, tanto meno nella malattia che ho. La mia differenza, in quanto essere umano, sta nei pensieri che faccio, nei libri che leggo e nelle mie esperienze”. Da quando ha 14 anni, Sara canalizza le sue emozioni nella scrittura e, oggi, è una delle autrici più interessanti di Mondadori Electa. “Nei miei libri – spiega – cerco di raccontare i ragazzi e le loro sofferenze. Da un disturbo alimentare al dolore per una perdita, voglio dare voce a tutti coloro che non riescono a esprimersi. Gli adolescenti hanno un fuoco interiore che se non viene gestito o capito può rischiare di bruciarli. Se leggendo i miei libri si sentiranno capiti, avrò vinto. Mi piace pensare di poter salvare delle vite”. “Sono diverso non perché sono in carrozzina, ma perché ho qualcosa in più da dare” Alessandro ha 22 anni ed è all’ultimo anno di ingegneria biomedica. Insieme alla fidanzata Anita, racconta sulle sue piattaforme social la sua vita, la sua nuova vita, in sedia a rotelle. “Quando avevo 16 anni la mia esistenza è cambiata drasticamente. Ho avuto un incidente in moto che mi ha provocato una lesione al midollo e mi ha lasciato paralizzato. Prima ero un ragazzo come tanti, appassionato di sport e di calcio, poi ho visto tutto nero”. I primi tempi dopo l’incidente sono stati, per Alessandro, i più duri. “Non riuscivo ad accettare la mia condizione. Ero disperato all’idea di non poter più giocare a calcio ed è stato difficilissimo vedere la preoccupazione negli occhi dei miei cari. Ma ho deciso, nonostante tutto, di non arrendermi. Appena uscito dall’ospedale, ho ricominciato a fare sport, sperimentando il tiro con l’arco, poi l’handbike e infine la pallacanestro in carrozzina. Guardandomi indietro posso dire che è stata un’adolescenza diversa, ma in alcun modo peggiore delle altre. Anzi, ho fatto più cose in sedia a rotelle che da in piedi”. Ed è proprio la voglia di far vedere che la disabilità non è per forza una limitazione che ha spinto Alessandro ad aprire le pagine di Tik Tok e Instagram. “All’inizio è nato per gioco. Io e la mia fidanzata eravamo in vacanza insieme ed abbiamo pubblicato un reel dove cambiavamo outfit e ci preparavamo per andare a cena. Dai commenti che abbiamo ricevuto, ho capito che c’era bisogno di fare chiarezza e di mostrare che, anche con una disabilità, puoi fare tutto ciò che ti viene in mente”. Presto, la pagina Instagram di Alessandro raggiunge i 26mila follower e lui continua a far vedere spezzoni della propria vita. “Ad esempio, faccio molti video su come aggirare le barriere architettoniche o su come salire in macchina. Ma mi prendo anche in giro facendo vedere ciò che non riesco a fare, come raggiungere gli scaffali alti del supermercato. Soprattutto, voglio cambiare la visione della disabilità: non siamo persone da compatire”. Tra le cose che hanno fatto più soffrire Alessandro dopo l’incidente ci sono, infatti, gli sguardi della gente. “In sedia a rotelle non puoi passare inosservato. Le persone ti osservano, a volte con curiosità, spesso con pietà. All’inizio soffrivo molto, non volevo sentirmi gli occhi delle persone addosso. Ora mi sono abituato e, anzi, si è ribaltata la situazione. Io sono fiero di essere in sedia a rotelle. Ed è vero, sono diverso. Ma sono diverso non perché sono in carrozzina, ma perché ho qualcosa in più da dare”.

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