Il "rischio di povertà" rende l'Italia il Paese più diseguale d'Europa

Nel 2024, secondo gli ultimi dati Eurostat, il 16,2% della popolazione dell’Unione europea, pari a 72,1 milioni di persone, risultava esposto al rischio di povertà. Si tratta della stessa identica quota registrata nel 2023 e questo, più che indicare stabilità, evidenzia la difficoltà dei Paesi Ue nel ridurre in modo significativo la quota di popolazione più vulnerabile. Il tasso di rischio di povertà, noto con la sigla AROP , costituisce una componente centrale dell’indicatore più ampio relativo al rischio di povertà o esclusione sociale . L’AROP misura, nello specifico, la quota di individui che dispone di un reddito disponibile equivalente, calcolato dopo i trasferimenti sociali, inferiore al 60% del reddito mediano nazionale. È importante ricordare che si tratta di un indicatore di natura relativa: non misura la povertà assoluta né il patrimonio economico complessivo, ma la distanza di un individuo rispetto al “reddito tipico” del suo Paese. Ciò permette di mettere in luce non solo le situazioni di difficoltà economica più evidenti, ma anche quelle disuguaglianze interne a un Paese che non configurano condizioni di indigenza estrema. A livello di regioni NUTS 2, una classificazione statistica europea che in Italia corrisponde alle regioni e alle province autonome, sono dieci i territori dell’Unione che registrano una quota di popolazione a rischio di povertà superiore al 30%. Si tratta di aree economicamente fragili, con bassi livelli di occupazione e deboli capacità di attrazione degli investimenti. Escludendo quattro territori geograficamente situati fuori dal continente europeo - le regioni francesi d’Oltremare Guadalupa, Riunione e Guyana, oltre all’exclave spagnola di Melilla in territorio marocchino - restano sei regioni europee con valori così elevati, distribuite tra Grecia e Italia: per il nostro Paese, le quattro regioni con tassi superiori al 30% appartengono al Mezzogiorno e sono la Calabria , la Campania , la Sicilia e la Puglia . All’estremo opposto troviamo quelle regioni europee con i livelli più bassi di popolazione a rischio di povertà: il territorio con il terzo dato più basso è la Provincia autonoma di Bolzano, che registra un tasso del 5,9%, inferiore a quello di molte aree del Centro e del Nord Europa. Valori ancora più bassi dell’Alto Adige si registrano soltanto nella regione rumena di Bucarest-Ilfov, con il 3,7%, e nella provincia belga delle Fiandre Orientali con capoluogo Gand, con il 5,4%. Anche altre regioni italiane del Centro-Nord presentano percentuali inferiori al 10%: la Provincia autonoma di Trento è al 6,9%, l’Emilia-Romagna al 7,3%, la Valle d’Aosta al 9,2% e le Marche sono al 9,6%. L’aspetto più interessante, e allo stesso tempo forse più preoccupante, è che l’Italia risulta lo Stato più disomogeneo al suo interno per quanto riguarda il rischio di povertà. Se si escludono infatti i territori francesi e spagnoli situati fuori dall’Europa geografica, che hanno comunque un peso demografico molto ridotto sul totale dei rispettivi Paesi, l’Italia è l’unico Stato a presentare contemporaneamente regioni con meno del 10% di popolazione a rischio di povertà e regioni con oltre il 30% - con le due regioni più popolose del Paese, Lazio e Lombardia, che mostrano tassi rispettivamente del 21,8% e dell’11,5%.. Questa polarizzazione conferma non solo - se mai ce ne fosse stato bisogno - la persistenza del tradizionale divario Nord-Sud, ma anche che l’Italia è oggi il Paese economicamente più diseguale d’Europa. Al suo interno convivono territori con livelli di benessere comparabili a quelli dei Paesi più avanzati del Vecchio Continente e regioni che invece continuano a vivere una fragilità economica cronica.

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Il "rischio di povertà" rende l'Italia il Paese più diseguale d'Europa

Alessio Vernetti