Bambini adultizzati e adulti impauriti: la scuola al contrario

Prego, scomodati ché parliamo della puntata due di tre. Settimana scorsa ti ho scritto della nuova direzione che la scuola italiana sta prendendo in materia di educazione psicosessuale: laddove prima grazie all’autonomia scolastica c’erano dei margini di iniziativa da parte di dirigenti e insegnanti illuminati , ora si parla del divieto assoluto di portare i temi della sessuoaffettività fino alle superiori, quando sarà possibile farlo previa presa visione dei materiali e dei contenuti da parte delle famiglie che daranno il loro consenso scritto. Ti devo delle scuse, lettore scomodo: allucinata all’idea che le cose stessero davvero così anch’io sono stata, come si dice, biased - ovvero sono caduta in una trappola che mi ero creata da sola. Siccome infatti là fuori è una giungla, il nostro cervello tende a fare da madre benevola: a meno che non siamo noi a prenderci la briga di scomodarci, lui è portato a lasciarci tranquilli, a non darci fastidi. Così, applica delle modalità di risparmio energetico che ha studiato particolarmente bene la psicologia cognitiva, trucchetti ed euristiche involontari volti a non affaticarci troppo, ché insomma dobbiamo provare ad arrivare tutti il più intatti possibile a sera. Tra queste scorciatoie del pensiero, i bias per l’appunto, c’è la consonanza cognitiva: il nostro cervello tende a trovare o a convincersi di conferme circa le certezze che già ha. Per darsi ragione, per sentirsi capace, per guadagnare dieci punti in autostima, per non sprecare energie nel faticoso processo di apprendimento che scombina i dati - corretti o meno - dei quali disponiamo già, ma anche per rassicurarci. La paura infatti è una screanzata e pericolosa dittatrice, che più spesso di quanto ci rendiamo conto ha in mano le nostre decisioni e i nostri comportamenti. Così, parlare solo con noi stessi o con chi ci dà ragione, addomesticare l’algoritmo a fornirci solo prove che la Terra è piatta/i vaccini provocano l’autismo/Trump ha siglato la pace in Medio Oriente, ci occorre a muoverci dentro a saldi punti di riferimento. Ci fa sentire contenuti come tra le braccia di una madre, sostenuti da sponde di un lettino di convinzioni che non ci faranno cadere e sbattere la testa per terra. Protetti, sì da non dover affrontare i pluralismi, la complessità, le contraddizioni, i nostri limiti di ragionamento e comprensione. La realtà. Ché se ti piace è bella, è la migliore bussola di sempre. Però ti impone spesso di scontrarti con la sua materia dura e aguzza, impossibile da manipolare: la realtà è la realtà, non scende a patti con nient’altro e quando la distorciamo non facciamo che crearne una valida per noi, o per molti di noi, che però è solo una versione posticcia dell’originale. Non la sostituisce, non la cancella, non la altera: la realtà è immobile. Ci costringe a fare i conti con il fatto che esistono le mamme che fanno il male dei loro figli, i padri che deflorano le figlie, gli esperimenti sessuali tra fratelli che esulano di gran lunga dal normalissimo gioco del dottore, il suicidio infantile, la morte, la malattia psichiatrica, il cambiamento climatico, le spose bambine, gli insegnanti violenti, la disperazione, il genocidio, la fallibilità dei genitori, la responsabilità individuale e . Ebbene, a me - per come sono fatta io, per la mia storia, i miei bias e insomma la mia Stefitudine - la mia criptonite è la negazione. La possibilità dal pulpito di un ruolo di responsabilità e potere, sono due cose sulle quali non ho ancora la meglio. Ci sto senza problemi nella stanza delle parole, nei reparti psichiatrici, nelle residenze per la salute mentale: ci sto comodissima mentre lavoro. Mentre vivo e basta, invece, la possibilità che una madre non veda il maltrattamento che infligge ai figli, che un insegnante neghi l’esistenza della neurodivergenza, che un Ministro dica che “l’educazione non si fa con le belle parole e con gli insegnamenti” e che qualora in mano alla scuola verrebbe complicata dal fatto di “non conoscere le competenze di chi ne sarebbe deputato” per cui è meglio che “se ne occupi con l’esempio la famiglia” mi manda - lo ammetto - letteralmente fuori di testa. È stato così che ho - sbagliando - pensato che, ehi, fosse impossibile che il consenso informato si introducesse alle scuole superiori, laddove gli studenti mediamente hanno dai quattordici ai diciannove anni. Mi sono detta: "Vabbè, saranno i nuovi criteri per la secondaria di primo grado, dove vanno le persone tra gli undici e i tredici." Non ho potuto né voluto crederci, per il mio cervello e in senso più lato per il mio intero sistema era letteralmente impraticabile integrare il dato per il quale stessimo parlando dei sedicenni, anziché dei dodicenni. Invece era così, mi sono fracassata il naso contro la realtà, ne ho preso atto e ora sono qui a farti l’istantanea di chi siano gli uni e gli altri - giusto per alimentare il bruciore di stomaco, far funzionare le sinapsi, fare fatica, tenere alto il livello di impegno al pensiero critico. Schema: i ragazzi e le ragazze delle medie sono i preadolescenti, quelli delle superiori sono gli adolescenti. Fino a qualche anno fa, la distinzione in epoche di sviluppo era piuttosto netta: prima di loro, alle elementari, ci andavano i bambini - per definizione, i piccoli. Non esistono infatti “bambini grandi e bambini piccoli”, esistono i bambini, e sono tutti piccoli. Certo, se hanno otto anni sanno parlare e se ne hanno uno no, se hanno due anni non si può spiegare loro perché non si debba gettare il phon acceso in vasca e se ne hanno nove sì, se hanno sei anni possono contemplare un punto di vista che non sia il proprio e se ne hanno tre no, ma sono tutti bambini. Giocano, si affidano, non hanno conflitti con la famiglia, non fanno pensieri erotizzati e non usano il corpo come campo di battaglia - nell’alveo di uno sviluppo sano e armonioso. Come dici, lettore scomodo? Non ti ritrovi? Conosci bambine delle elementari con le meches bionde e il mascara e loro compagni di classe con il cellulare che frequentano materiale pornografico? Sì. Anche io. Perché per una serie di ragioni, i nostri figli sono vittime di un inquietante processo di adultizzazione e precocizzazione che ovviamente è causa nostra che ha fatto scivolare all'indietro tutta una serie di questioni che oggi investono anzitempo i nostri bambini che hanno reso i tre anni di medie un periodo - dacché erano una sorta di purgatorio - infernale. Un’età difficile, dove quasi il dieci per cento dei ragazzi ha già rapporti sessuali completi, educati da internet e senza l’uso di profilassi. La stragrande maggioranza di loro dispone di un accesso alla rete, invia commenti e materiale sensibile, crea avatar. Ragazzi che anziché essere sostenuti nella crescita offrendo loro gli strumenti adeguati e gli adulti competenti a fare il gesto gentile di una mano educativa dietro la schiena che regge ma non si frappone all’orizzonte del futuro, complice la politica, ridicolizzando la scuola e in barba alle leggi dello sviluppo, invece, vengono tenuti lontani dalle questioni fondamentali: possono uscire da soli pur non avendo quattordici anni, basta firmare per rimbalzarsi le responsabilità. Possono attraversare il centro e incappare in una spedizione punitiva dove una ragazzina di undici anni massacra una di due anni in più perché aveva guardato il suo ragazzo, lasciando a terra intere ciocche di capelli che le aveva strappato a mani nude , con tanto di video nei cellulari di tutti gli studenti. Fumano le sigarette elettroniche. Alcuni sono figli di genitori che “Gliele compro io ché con mio figlio preferisco non avere segreti né bugie” , altri sono vittime di esercenti dal criminale all’ingenuo: le dodicenni che conosco si truccano e vestono in modo tale da sembrare delle diciottenni e comprare da fumare - cosa che farebbe parte della tipica trasgressione adolescenziale e secondo manuale dovrebbe essere messa in campo più o meno quattro anni dopo. Ma non ci arriviamo, quattro anni dopo. Se a dieci anni hanno il reggiseno imbottito, a tredici la sigaretta in una mano e YouPorn nell’altra, però a sedici sono ancora immaginati dalla Cosa pubblica come marionette delle famiglie che diano o meno il permesso a parlare loro di rispetto, consenso, corpi, alterità, emozioni, pericoli, salute, fattori di rischio, fattori protettivi, relazioni disfunzionali, sperimentazioni normali e che al contrario rischiano di mettere in gioco una vita, io faccio una sommessa ma pessima previsione: magari avremo scongiurato che gli attivisti cattivoni e transessuali li abbiano traviati dal cantare in falsetto Whitney Houston, ma che saremo stati capaci di proteggerli dalla violenza, dal mettersi a repentaglio, dal ragionare su cosa sia ammissibile e cosa no, dalla disparità di genere e di orientamento sessuale, dalle discriminazioni, dalle relazioni tossiche, dalla ridicolaggine dei loro adulti. Ecco, quello no.

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Bambini adultizzati e adulti impauriti: la scuola al contrario

Stefania Andreoli