“Se io parlo gli altri ridono”: la piaga silenziosa del voice-shaming

“Avevo 6 anni ed ero al primo giorno di scuola. Dovevo dire una parola che iniziava con la sillaba “co” e la mia compagna Liliana ha cominciato a dirmi: ‘Ma come parli? Sembri una gallina, co-co-dè’. E tutti i miei compagni a ridere”. Sette persone su dieci hanno subito discriminazioni, derisioni, abusi per via della loro balbuzie, spiega a Sky TG24 Insider Giovanni Muscarà, fondatore dell’Associazione Vivavoce. “Io a sei anni ho cominciato ad associare al mio parlare qualcosa di problematico: pensavo, ‘se parlo gli altri possono ridere’. Sono episodi che minano la tua fiducia, la tua sicurezza, il tuo stesso desiderio di comunicare”. Il voice-shaming, ossia la discriminazione che subiscono le persone con balbuzie, è una piaga silenziosa e considerata socialmente marginale. È per questo che l’Associazione Vivavoce ha fondato l’Osservatorio Voice-shaming©, il primo centro studi al mondo con l’obiettivo di dare uno statuto scientifico alla ricerca sulle discriminazioni subite dalle persone balbuzienti. Quest’anno ha pubblicato il terzo report annuale, dedicato a balbuzie e salute mentale. La discriminazione incide sul benessere psicologico del 91,8% degli intervistati I risultati del terzo Annual report evidenziano come il voice-shaming amplifichi l’impatto auto-percepito del proprio disturbo comunicativo. La quasi totalità delle vittime riferisce che questo tipo di discriminazione ha avuto un effetto significativo sul proprio benessere psicologico . Il fenomeno ha inciso sul modo di pensare sé stessi per il 90,8% degli intervistati e sulle relazioni con gli altri per l’89,8%. In termini di scelte di vita, il 74,5% dei partecipanti ha dichiarato che subire questa forma di derisione o esclusione ha influenzato in qualche modo decisioni importanti nel corso della vita. “Ho fatto colloquio in una multinazionale tanti anni fa - continua Muscarà - Riesco con degli stratagemmi a superare il colloquio di gruppo, arriva il colloquio individuale con un manager che mi comincia a dire: ‘guardi, questo è un lavoro con molto stress’. Io rispondo che non ho problemi con l'ansia o con lo stress. ‘Eh, ma sa - mi dice - io lo sento che lei si agita, che lei balbetta’. Quindi, secondo lo stereotipo, io non avrei saputo gestire bene l’emozione perché non parlavo bene”. Si instaura un circolo vizioso tra discriminazione e disagio emotivo e poi conseguenze sociali e materiali. La balbuzie impatta sulla qualità della vita per oltre la metà delle vittime di derisione o esclusione per il modo di parlare . Al contrario, questo avviene nel 12% dei casi per coloro che non hanno mai subito questa discriminazione. E poi ci sono le conseguenze psicologiche: il voice-shaming è associato a una sintomatologia ansioso-depressiva e a pensieri disfunzionali. Oltre l’85% delle vittime di voice shaming ha riportato sintomi di ansia da moderata a elevata, rispetto al 63% tra coloro che non l’hanno subito. Il 50% dei soggetti presenta sintomi depressivi, mentre la percentuale scende al 15% tra coloro che non hanno vissuto esperienze di questo tipo. Perché serve un Osservatorio voice-shaming “C'è stato un episodio che ha suscitato l’esigenza di creare un osservatorio dedicato - racconta Muscarà - A settembre 2022 in una notissima trasmissione televisiva è arrivato un concorrente balbuziente. Appena i giudici - cioè notissimi presentatori e uomini dello spettacolo - hanno sentito come parlava hanno cominciato a creare engagement a casa, e a dire tutta una serie di banalità e di stereotipi”. Muscarà è rimasto “allibito”, dice. “Io pensavo al me bambino che il giorno dopo sarebbe potuto andare a scuola e avrebbe potuto dire: ‘se Gerry Scotti fa quel tipo di battute può farle chiunque, quindi è normale che io venga distrutto dai miei compagni’”. Lo stereotipo, però non si limita alla scuola o al mondo della televisione ma riguarda anche gli ambienti clinici. “Ti dicono che balbetti perché sei timido, balbetti perché sei fragile, balbetti perché hai avuto un trauma quando eri piccolo, balbetti perché magari non gestisci bene l'ansia e le emozioni. Tutto questo porta quindi a un'immagine di chi soffre di balbuzie assolutamente svalutante”. Di qui è nata la necessità di fondare un’associazione che potesse occuparsi, non solo di sensibilizzare la società, ma soprattutto di dare un’evidenza scientifica agli effetti psicologici e sociali che la derisione e la discriminazione comportano. Così nel 2023 è stato fondato il primo osservatorio al mondo di voice-shaming. La mission dell’Osservatorio “Non vogliamo semplicemente portare a galla il negativo per alimentare una forma di vittimismo. Vogliamo che se ne parli perché possa nascere una nuova consapevolezza”, dice Muscarà. E l’attenzione va rivolta, innanzitutto, alle cose semplici: “Alla battutina, allo sguardo di derisione. Basta davvero poco per ridurre il carico di chi vive una fatica come quella della balbuzie”. La sfida che lancia il fondatore dell’associazione Vivavoce è quella dell’immedesimazione. “Chi non ha la balbuzie dovrebbe provare a mettersi nei panni di chi vorrebbe chiedere un caffè, un bicchiere d'acqua, o manifestare un sentimento verso un'altra persona, e ha paura perché tutto ciò dovrà essere mediato dalla propria voce. Una voce che non ti segue, che fa un po' quel che vuole. Sfido chiunque a non sperimentare sentimenti anche di ansia, di tristezza”. Una ragione per essere ottimisti Muscarà ha fiducia nella sensibilità delle persone, per questo crede che un cambiamento sia possibile. E, d’altro canto, qualcosa si sta trasformando anche dalla parte di chi subisce. “Ci ha fatto molto piacere scoprire che in occasione della Giornata mondiale della balbuzie, delle persone a cui abbiamo chiesto di raccontare la propria esperienza hanno risposto in tantissimi”. Un risultato sintomatico di un cambio di prospettiva. Sottolinea Muscarà: “Di solito le persone che affrontano un percorso riabilitativo con noi hanno una grandissima reticenza a parlare della loro sofferenza”. Quest’anno, invece, tante più persone hanno deciso di partecipare. Muscarà non può nascondere di esserne particolarmente orgoglioso: “Non sarebbe successo senza il lavoro che stiamo portando avanti da anni”.

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Agnese Ranaldi