Secondo la Corte Costituzionale le disposizioni che hanno posticipato i termini per l’adeguamento delle tariffe - per gli anni dal 2020 al 2023 - sono “illegittime” perché in contrasto con gli articoli 3, 41 e 97 della Carta. La Consulta ha dato così ragione al ricorso presentato in precedenza dal Consiglio di Stato che lamentava una lesione della libertà di impresa e utilità sociale
La Corte Costituzionale ha dichiarato “illegittime” le disposizioni che per gli anni tra il 2020 e il 2023 hanno rinviato i termini per l’adeguamento dei pedaggi autostradali in attesa dell’aggiornamento dei piani economici finanziari perché in contrasto con gli articoli 3, 41 e 97 della Carta. Con la sentenza numero 147, depositata nella giornata di oggi, la Consulta ha così accolto il ricorso presentato dal Consiglio di Stato che lamentava una lesione della libertà di impresa e di utilità sociale.
Il ricorso del Consiglio di Stato
In precedenza, l’organo della giustizia amministrativa aveva sollevato dubbi di legittimità costituzionale sugli articoli 13, comma 3, del decreto-legge numero 162 del 2019, nel testo originario, e sull'articolo 13, comma 5, del decreto-legge numero 183 del 2020. Norme che rinviavano i termini per l'adeguamento delle tariffe autostradali per gli anni 2020 e 2021. La Corte ha poi incluso nella dichiarazione di illegittimità costituzionale anche le disposizioni che facevano slittare gli adeguamenti tariffari anche per il 2022 e il 2023. Stando al verdetto degli Ermellini, avrebbero accentuato gli effetti illegittimi determinati dalle disposizioni censurate. Il procedimento è partito dall'impugnazione, da parte di una concessionaria autostradale, di due note del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che non avevano riconosciuto gli adeguamenti tariffari per il 2020 e il 2021.
I dubbi della Consulta
Nell'esame i giudici costituzionali hanno osservato che le disposizioni censurate dal Consiglio di Stato violano, innanzitutto, il principio di continuità amministrativa, che impone di evitare ogni ritardo che non sia strettamente funzionale alla salvaguardia dell'interesse pubblico.