Paderno Dugnano, 17enne “era lucido quando sterminò famiglia”. Le motivazioni dei giudici
CronacaIntroduzione
Pubblicate le motivazioni con cui il Tribunale per i minorenni, lo scorso giugno, ha condannato a 20 anni - pena massima in abbreviato - Riccardo Chiarioni. Nel 2024, a 17 anni, il giovane ha ucciso il padre, la madre e il fratello di 12 anni nella loro casa a Paderno Dugnano, in provincia di Milano. La giudice, pur tenendo conto delle attenuanti generiche e della minore età, ha ritenuto sussistere la premeditazione e non ha riconosciuto invece il vizio parziale di mente certificato accertato dai periti. Dopo le motivazioni depositate oggi, l'avvocato Amedeo Rizza, che difende Chiarioni, ha spiegato che presenterà ricorso in appello contro la sentenza. I dettagli
Quello che devi sapere
Le motivazioni dei giudici dopo la condanna
Riccardo Chiarioni era “guidato da un pensiero stravagante” e “bizzarro”, cioè raggiungere "l'immortalità attraverso l'eliminazione della propria famiglia", ma era ancora sotto il suo "controllo". Tanto che ha "distinto la realtà dall'immaginazione" e "ha lucidamente programmato, attuato, variato secondo il bisogno le proprie azioni, prima, durante e doро" i delitti. Sono queste le motivazioni con cui i giudici del Tribunale per i minorenni hanno condannato il giovane che nel 2024, a 17 anni, ha ucciso a Paderno Dugnano il padre, la madre e il fratello di 12 anni. La condanna a 20 anni, arrivata lo scorso giugno, è la pena massima per il rito abbreviato. Non è stato riconosciuto, quindi, il vizio parziale di mente accertato dai periti
Per approfondire: Strage Paderno Dugnano, ragazzo uccise famiglia: condannato a 20 anni
La strage
Riccardo Chiarioni, all’epoca 17enne e ora 19enne, nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 2024 sterminò la famiglia - padre, madre e fratello - con oltre 100 coltellate. Agì nella villetta di famiglia, a Paderno Dugnano, dopo che tutti erano andati a letto, finita la festa di compleanno del padre
La ricostruzione della strage
Le motivazioni, firmate dalla giudice Paola Ghezzi, in 51 pagine ricostruiscono la strage avvenuta nella villetta di quella che tutti ritenevano, come si legge nel documento, una "famiglia normale". Strage che è sempre rimasta senza un vero movente. Presenti nel documento anche dichiarazioni e interrogatori del ragazzo, che ora ha quasi 19 anni, e testimonianze di altri suoi familiari
Un “manipolatore” che ha manifestato "scaltrezza"
La giudice descrive il giovane come un "manipolatore", che ha progettato gli omicidi "nei minimi dettagli", che ha manifestato "scaltrezza" nel "tendere la trappola per uccidere i genitori nella sua cameretta e non nella camera matrimoniale", dopo aver già colpito il fratello. E che ha agito in modo "sconcertante" colpendo tutti e tre in "modo cruento", infliggendo loro "numerosissime coltellate, infierendo sui loro corpi esanimi e anche colpendo alle spalle il padre, dopo aver dato l'impressione di volersi fermare successivamente all'aggressione al fratello e alla madre"
La perizia
Nella perizia, lo psichiatra Franco Martelli ha scritto che il ragazzo viveva tra realtà e "fantasia", che voleva rifugiarsi in un mondo fantastico che lui chiamava della "immortalità": per raggiungerlo, nella sua mente era convinto di doversi liberare di tutti gli affetti
Per approfondire: I risultati della perizia
“Nessuna evidenza di una condizione psichica di instabilità”
La giudice, nella sentenza, ha evidenziato il fatto che il perito abbia dato conto di "aspetti personologici disfunzionali quali un elevato grado di alessitimia" e della "divisione psichica della personalità" e "persistenza della fantasia-progetto". Tuttavia, scrive nelle motivazioni, "dall'esame del funzionamento mentale di Riccardo operato attraverso la descrizione delle sue condotte poste in essere durante la commissione dei fatti e anche successivamente, non si ravvede alcuna evidenza di una condizione psichica di instabilità e di ingovernabilità"
Non è apparso “in alcun momento dissociato”
E si legge ancora: "Certamente nell'evenienza criminale debbono aver avuto peso potenti stati emotivi, una grossa dose di rabbia e odio narcisistici, accumulati a ogni frustrazione, che hanno fatto sì che l'atto si compisse con cotanta aggressività espressa". Per la giudice, "lo si desume dalle modalità particolarmente spietate dell'esecuzione: per quanto si possa essere inesperti nell'uccidere, un tale accanimento e varietà delle lesioni (soprattutto nei confronti del fratello e della madre) non può non avere come 'benzina' tali sentimenti". A ogni modo, il 17enne, stando alla sentenza, "ha mantenuto lo stesso livello di organizzazione mentale durante le diverse fasi del delitto, non apparendo in alcun momento dissociato o soggetto ad alcuno scompenso rispetto alle sue intenzioni, che erano quelle di eliminare i familiari, secondo un piano ben organizzato, frutto dell'intelligenza di condotta dimostrata e applicata"
“Né totalmente né parzialmente incapace d'intendere e volere”
L'imputato, scrive la giudice, "presenta alterazioni della personalità" che, però, "non lo hanno reso né totalmente, né parzialmente incapace d'intendere e volere". Nel riconoscergli le attenuanti, comunque, spiega che quei disturbi "hanno inciso sulla deliberazione delittuosa e ancor prima nel generare un importante malessere che lo ha portato a trovare da sé la soluzione, in ciò completamente trasparente, perché adeguato o meglio corrispondente all'immagine che i genitori desideravano e volevano spendere in ambito sociale: 'Il bravo ragazzo, il ragazzo che non da problemi in alcun ambito di vita'"
La pena massima
Pur applicando la "diminuente della minore età e le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza su tutte le circostanze aggravanti", tra cui la premeditazione, la giudice ha applicato per il giovane la pena massima in abbreviato di 20 anni, non riconoscendo il vizio parziale di mente
Dopo il delitto
Nella sentenza si mette in luce anche "la condotta tenuta immediatamente dopo il delitto", orientata "a eludere le investigazioni per garantirsi l'impunità: dapprima il piano prevedeva di far ricadere la colpa sulla madre, poi sul padre d infine su di sé, ma soltanto dopo aver avuto la certezza, attraverso il nonno, che gli investigatori non avessero creduto alla versione fornita in prima battuta ai soccorritori"
Le prime ammissioni
Nella sentenza vengono riportate anche le prime parole che il ragazzo disse al nonno, prima cercando di sostenere la versione che fosse stato il padre a uccidere e che lui sarebbe intervenuto "a difesa" e poi ammettendo per la prima volta: "Volevo essere immortale (...) staccarmi dalla famiglia e tutto, avrei dovuto fare un certo percorso". E poi ancora negli interrogatori: "Mi sarebbe piaciuto vivere diciamo in libertà, senza vincoli legati alla famiglia"
La pianificazione
Analizzando atti e dichiarazioni, la giudice chiarisce che "Riccardo ha maturato il proposito di uccidere i familiari quantomeno il giorno precedente ai fatti". La sera precedente, però, "non era 'abbastanza convinto', ed è solo il permanere di quel pensiero in lui che ha consentito alla sua decisione di rafforzarsi". Nel tempo "intercorso tra le prime dichiarazioni rese e le successive, Riccardo ha potuto elaborare i fatti e quanto già dichiarato, così da predisporre un'adeguata strategia difensiva". Nella "pianificazione del delitto, per poter andare esente da responsabilità", ha usato "una maglietta nera tagliata per coprire l'impugnatura del coltello, in modo da non lasciare impronte". E ha "atteso attentamente che il fratello fosse effettivamente addormentato per dare inizio alla strage". Al pm riguardo alla strage disse anche così: "Non la reputavo come una cosa diciamo con grave impatto", mostrando - spiega la giudice - tutta la sua "freddezza emotiva"
Il piano "organizzato nel dettaglio"
In uno dei passaggi delle motivazioni si legge che il piano è stato "organizzato nel dettaglio" con l'obiettivo di "eliminare i legami familiari (andarsene ad arruolarsi in Ucraina)". Un progetto che il giovane ha cambiato in corso d'opera - quando la prima coltellata al fratello ha svegliato i genitori - ma che ha portato a termine con una "lucidità e freddezza rilevanti". Ancora, si sottolinea come - nonostante il risveglio dei genitori, provocata dalla morte non immediata del fratello - il giovane "ha deciso di procedere nell'atto omicidario, anche attuando una modalità elaborata in quel momento, frutto di una lucidità e freddezza rilevanti, ossia attendere l'arrivo della coppia genitoriale all'interno della cameretta per sfruttare l'effetto sorpresa e così agire nella certezza del raggiungimento dell'obiettivo"
“Inclinazione verso l'ideologia fascista", nazista e "omofoba"
La giudice ricorda anche, come era già emerso, che dall'analisi dei dispositivi del ragazzo erano emerse immagini, come la foto del Mein Kampf, o "esternazioni di pensiero comprovanti la sua inclinazione verso l'ideologia fascista", nazista e "omofoba"
Difesa del ragazzo: “Non considerata sua patologia”
Dopo le motivazioni depositate oggi, ha parlato l'avvocato Amedeo Rizza, che difende Riccardo Chiarioni e ha spiegato che presenterà ricorso in appello contro la sentenza. "Ovviamente non condivido questa motivazione. Il giudice non ha preso atto della concreta incidenza e del nesso di causalità che c'è tra la patologia di Riccardo e il reato commesso", ha detto il legale. Le considerazioni del difensore partono dal fatto che in una perizia, disposta dal gip nel corso del procedimento, era stato accertato un vizio parziale di mente del ragazzo e, dunque, una capacità di intendere e di volere parzialmente scemata al momento dei fatti. Vizio parziale non riconosciuto nel verdetto. La giudice, ha spiegato il difensore, "pur riconoscendo un disturbo psichiatrico, un'idea dominante nel raggiungere il progetto dell'immortalità", di cui ha parlato il ragazzo che a ottobre compirà 19 anni, e "la necessità di cure" per lui, "ha ritenuto che, visto il comportamento avuto dal minore prima, durante e dopo l'omicidio, tale disturbo riconosciuto non ha inciso nella capacità del volere". E in relazione alla pena, "pur riconoscendo la necessità di concedere le attenuanti generiche con criterio di prevalenza per mitigarla", sempre la giudice "alla fine ha dato il massimo" previsto nei procedimenti minorili con rito abbreviato, ossia con lo sconto di un terzo. Dopo il ricorso ci sarà un processo d'appello
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