Per quanto ancora resteranno vuoti i centri in Albania? Cosa dice la sentenza Ue

La Corte di giustizia dell’Unione europea si è espressa sul protocollo Italia-Albania e sulla definizione di Paese di origine sicuro. E ha sentenziato che uno Stato membro “può designare Paesi d’origine sicuri mediante atto legislativo, a patto che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo”. Tradotto: il Governo italiano può stilare una lista di Paesi sicuri, ma a decidere sulla sua legittimità restano i giudici. E così è successo in Italia, dove il tribunale di Roma tra ottobre e novembre 2024 non ha convalidato il trattenimento nel centro di Gjader, in Albania, di decine di persone migranti salvate in mare da navi italiane, proprio perché provenienti da Paesi considerati non sicuri . Le persone, all’epoca dei fatti, furono tutte immediatamente trasbordate in Italia e i centri, da allora, sono rimasti vuoti. “Con questa sentenza, le strutture rischiano di rimanere vuote per un altro anno”, sintetizza a Sky tg24 Insider l’avvocato Lorenzo Trucco, presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione . Avvocato, perché la Corte di giustizia si è espressa ora sui Paesi sicuri e sul protocollo Italia-Albania? Tutto nasce da un rinvio pregiudiziale del tribunale di Roma, che doveva pronunciarsi su una convalida di trattenimento rispetto a due persone del Bangladesh che erano state portate in Albania. Il tribunale ha chiesto alla Corte di giustizia delle specificazioni importanti. Sostanzialmente ha chiesto chiarimenti sul concetto di Paese d’origine sicuro. I criteri per il trattenimento nei centri in Albania sono precisi: solo uomini adulti, che non hanno fragilità, salvati in mare da navi italiane e provenienti da Paesi d’origine sicuri. Ma cosa si intende, precisamente, per Paese sicuro? Ci sono dei criteri essenziali per poter dire che un Paese d’origine è sicuro oppure no. E la Corte di giustizia con questa sentenza li ha ribaditi. Li sintetizzo, per semplicità, in tre punti. Il primo è la conformità e l’applicazione della Convenzione dei diritti dell’uomo in tutte le sue estensioni. Ad esempio, deve essere applicato il divieto di refoulement . Il secondo è che le informazioni su cui si fonda la decisione dei giudici attorno al Paese sicuro devono essere accessibili al giudice e al richiedente. Il terzo punto, che forse è il più importante ed era una delle ragioni del rinvio pregiudiziale, è che non può essere detto sicuro uno Stato che non garantisca, anche solo per talune categorie di persone, le condizioni di sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali. Nei primi trasferimenti in Albania, non convalidati dai giudici italiani, i Paesi d’origine erano Egitto e Bangladesh. Ci fa alcuni esempi di diritti non garantiti in questi Stati? Ci sono alcune categorie di persone i cui diritti non sono tutelati. Penso a chi è omosessuale, alle donne o ai minori. In molti Stati, non solo in Egitto e Bangladesh, i loro diritti non sono garantiti. La risposta della Corte è che questi Paesi non possono essere inseriti nella lista dei “sicuri”. L’Italia, però, aveva inserito nella sua lista anche Egitto e Bangladesh. Quella lista non è più valida? Su questo la Corte di giustizia ha affermato un principio importante: il primato del diritto dell’Unione europea. Un Paese può stilare una propria lista di Paesi di origine sicuri, ma deve farlo secondo una serie di parametri indicati dal diritto comunitario, ovvero quelli che ho elencato prima. E soprattutto i magistrati, che devono agire in modo indipendente secondo la divisione dei poteri, valutano e controllano queste liste sulla base dei principi basilari dell’Unione europea. Si tratta di una decisione importantissima della Corte. Dopo questa sentenza, quindi, i centri in Albania sono destinati a rimanere vuoti? Credo di sì. La definizione di Paese di origine sicuro, quella che permette di portare le persone nei centri in Albania, è in discussione. Quindi, a parer mio, diventa un ostacolo di fatto molto grosso per riprendere con i trasferimenti a Gjader. Eppure, qualcosa potrebbe cambiare. È attesa per il 12 giugno 2026 l’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo che “consente di effettuare designazioni con eccezioni per alcune categorie” di persone. Tra un anno ricominceranno i trasferimenti in Albania? Per un anno è possibile che i centri rimangano vuoti. Per quanto riguarda il nuovo regolamento, si tratta di una riforma epocale che prevede espressamente la possibilità di dichiarare un Paese sicuro, anche escludendo alcune categorie di persone dalla definizione. La situazione normativa muterà e, quindi, potrebbero cambiare anche le decisioni dei giudici sui trasferimenti. Ma neppure quel regolamento potrà violare i principi fondamentali dell’Unione europea. Eppure, è previsto anche che “il legislatore Ue possa anticipare la data”. C’è una urgente volontà politica di cambiare le regole sui trasferimenti? La richiesta di anticipazione della normativa è legittima ma, per motivi pratici, dubito che le procedure possano essere attuate in tempo. La data di riferimento, dunque, rimane giugno 2026. In quel momento, le cose cambieranno e potrebbero anche ricominciare i trattenimenti in Albania. Il nuovo regolamento europeo prevede modifiche molto rilevanti, volte a restringere le libertà delle persone in molti più scenari di quanto non avvenga adesso. Sono molto preoccupato da questa deriva securitaria che, a mio avviso, è un abbandono dei principi fondanti dell’Unione europea. Affronteremo una sfida importante con l’avvento di queste nuove norme, che ci costringono a stare in allerta perché in gioco c’è, non retoricamente, la vita delle persone.

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Andrea Ceredani