Aldo e Renata Masella: "Così abbiamo cresciuto le nostre nipoti, orfane di femminicidio"

La loro vita era nel teatro, nell’arte e nella danza, poi tutto fu sconvolto da una grande esplosione. Era il 12 giugno del 2016, una domenica mattina a Milano, a casa Masella si sentì un botto: nella palazzina dove viveva la figlia Micaela, in via Brioschi, c’era stata un’esplosione. Giuseppe Pellicanò, il marito, aveva manomesso il tubo del gas, e poi si era nascosto sotto il divano. Il corpo di Micaela fu trovato due cortili più in là. Le bambine di 7 e 11 anni, sebbene ustionate, si salvarono. Nell’esplosione furono coinvolti anche Chiara Magnamassa e Riccardo Miglianesi, fidanzati e vicini di casa, morirono entrambi a 27 anni. Micaela aveva 43 anni e con i genitori gestiva la scuola di danza del teatro Carcano, mentre il marito cinquantenne lavorava come pubblicitario. Lei aveva deciso di lasciarlo. Una separazione che durava già da anni, ma mai accettata. Ai nonni, Renata, ballerina, e Aldo, regista teatrale, il compito di crescere le bimbe rimaste orfane. Tutt’ora vivono tutti insieme, nonni e nipoti, in una casa curata, tra immagini di grandi attori teatrali e tanti riconoscimenti. Pellicanò sta scontando in carcere 30 anni di condanna per una strage che porta in sé il femminicidio. Il racconto di quei momenti nelle parole di Renata. Il racconto di Renata Masella Bestetti "La storia comincia dal grande botto che noi abbiamo sentito quella mattina, pensando: 'Ma chissà che cosa è successo'. Dopo poco mi ha chiamato l’altra mia figlia e mi ha detto: 'Mamma, ma ho sentito la radio che c’è stata un’esplosione vicino a voi, lì in via Brioschi. Chi lo sa che cosa è successo, speriamo che non sia successo niente alla casa di Micaela'. Tempo un quarto d’ora ed è suonata la porta, abbiamo aperto e c'erano due poliziotti che ci hanno detto di andare con loro all’ospedale Niguarda perché le nostre nipotine avevano bisogno di noi. Siamo arrivati al Niguarda e abbiamo trovato il sindaco che ci ha accolto e ci ha detto: “Non vi preoccupate, adesso ci pensiamo alle bambine”. Una delle nostre due piccole aveva il 40% di bruciature sul corpo, l’altra il volto grigio e i capelli tutti arricciati dal calore. Ci hanno detto di aver portato nostra figlia in un altro ospedale. Il ricordo di Aldo Masella Il modo in cui appresero la morte della figlia fu traumatico, ricorda Aldo Masella, 94 anni, sempre elegante: "All’ospedale Niguarda le nostre nipoti ci facevano ciao con le manine. Abbiamo incontrato un agente di pubblica sicurezza a cui ho chiesto di riferire una cosa a mia figlia e lui con le lacrime agli occhi mi ha detto: 'Ma come, non gliel’ha detto nessuno? Sua figlia non c’è più'. È stato il modo peggiore per venirlo a sapere. Piano piano le piccoline si sono riprese, per noi sono state di grande aiuto anche sul piano psicologico perché non sapevamo più come prendere questa situazione. Le nostre nipotine sono diventate per noi veramente quanto di meglio e di più bello potesse esserci nel nostro percorso. Convivere col trauma Dimesse dall’ospedale le bambine sono state accolte con un manifesto disegnato dai nonni, c’era scritto “benvenute”. Continua Renata Masella: "Dopo questo frastuono iniziale, anche il sindaco, che nel frattempo era diventato Sala, è venuto al funerale, poi tutta questa meraviglia è finita. Basta, fine della trasmissione. Ci hanno un po’ aiutato l’associazione di volontarie Soroptist, anche dal punto di vista medico con le ragazzine, perché tutte e due naturalmente hanno avuto necessità di cure di psicologiche di tutti i generi. La più grande ha sofferto di anoressia e bulimia, e ancora adesso che a vent’anni è seguita. Il nostro municipio ci ha mandato un piccolo obolo raccolto per le bambine, poi basta. Tutto quello che abbiamo avuto è stato grazie alle assicurazioni private. La più giovane ha un ritorno di questi ricordi da un anno a questa parte, continuamente. Due anni fa ha scritto una lettera a suo padre e l’ha mandata al carcere di Opera. C’è scritto: 'Io so che tu hai ammazzato la mamma e che volevi far morire anche noi, però sei il mio papà e io ti voglio bene e voglio che tu esca dal carcere'". Un giorno Pellicanò andò dai suoi suoceri chiedendo aiuto per la fine del suo matrimonio, la signora Renata provò invano a spiegare che la figlia non sarebbe tornata indietro. "Lei ha vissuto quattro anni con lui da separati in casa - racconta -. Non ci ha mai detto niente in questo senso, ce lo ha raccontato dopo in qualche lettera che ci ha lasciato ma oramai era successo. Lei non aveva detto niente a nessuno di questa cosa, anche quando ha trovato un nuovo affetto ha continuato a vivere con loro, fino a quando non ne poteva più. Quando lui l’ha scoperto con il solito telefonino lasciato in giro, non ha incominciato ad andare fuori di matto ma a fare una serie di cose: per esempio mia figlia ha trovato la sua auto con scritto puttana. Avevano già deciso di lasciare le bambine nella casa di via Brioschi per non allontanarle dal loro mondo, mentre mamma e papà si sarebbero alternati, ma lui decise di risolvere la situazione in un altro modo, tant'è che il suo ergastolo l'ha avuto per strage. Resta da parte della signora Masella una considerazione di irrimediabile amarezza: "Purtroppo mi sono resa conto di una cosa, che quando questi uomini hanno questa idea, possono andare in galera due anni, magari escono, ma non cambiano di una virgola. Quello che si fa psicologicamente nelle cure con questo genere di uomini non funziona. Quando si mettono in mente di far fuori una donna, in un modo o nell’altro la ammazzano, è una cosa tremenda che purtroppo non si sa come risolvere".

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