La famiglia di Chieri e quell’amicizia inaspettata con Papa Francesco

Incontriamo la famiglia De Chirico nel salotto della loro villetta di Chieri, dall’altro lato della collina torinese. Denise con cura sta imboccando Ginevra e si sorridono. “Ormai anche Denise fa parte della famiglia - mi dicono - ci aiuta qualche ora al giorno e per Ginevra è come una sorella maggiore”. Ginevra ha 16 anni, è su una sedia a rotelle e comunica con il mondo solo attraverso gli occhi. Guarda le immagini e le emoticon sullo schermo del computer e si fa capire. Un bicchier d’acqua significa che ha sete, quando fissa un cuore ti sta dicendo “ti voglio bene”. La sua è una storia di sofferenza, d’amore e di speranza. È nata sana, ma all’età di un anno i suoi genitori si accorgono che qualcosa non va. Non è stato semplice arrivare alla diagnosi: malattia di Rett. Un disturbo molto raro del neurosviluppo, scoperto per la prima volta nel 1965. Il bambino non progredisce più e comincia una regressione. La lettera di Papa Francesco Fabio De Chirico e Samantha Fiorenza, i genitori di Ginevra, si conoscono da quando erano piccoli. Sono disperati per una diagnosi che non lascia illusioni, lumicini, appigli. In quel buio però, Fabio viene colpito da quel Papa appena eletto che arriva dalla fine del mondo e usa parole semplici. Loro sono credenti, da ragazzi andavano al catechismo, ma non credono nella Chiesa come istituzione. Troppa politica anche lì. Però Francesco comunicava un messaggio diverso, tanto da indurre Fabio a scrivergli una lettera per parlargli di Ginevra, per chiedergli una benedizione. Passano pochi giorni e a Chieri arriva una raccomandata. Fabio pensa sia una multa, invece è stata inviata dalla Città del Vaticano. Contiene una cartolina scritta di proprio pugno da Papa Francesco, datata 13 gennaio 2014. Una scrittura minuta e semplice e la parola che compare più volte è “grazie”. Li benedice e li invita a Roma. L’incontro a Roma "E lei dev’essere Ginevra!". Papa Francesco li sorprende così. "Io non so come abbia fatto a riconoscerci – racconta Fabio – eravamo gli ultimi in udienza e io avevo in braccio la bambina. Lui subito ha capito chi fossimo. Ci ha chiesto se avessimo mangiato e poi ci ha invitato nel refettorio di Santa Marta. Noi gli avevamo portato una teglia di parmigiana di pesce, al tempo gestivo un ristorante, ora faccio solo catering. Papa Francesco l’ha condivisa con tutti quelli che lavoravano nelle cucine, abbiamo mangiato tutti insieme. È durato ore il nostro primo incontro e noi siamo tornati a Chieri increduli. È difficile spiegare il nostro stato d’animo, perché ci ha trasmesso una forza incredibile e la speranza per andare avanti". Il “nonno” Francesco "Noi pensavamo che fosse finita lì. È stato gentile, ci ha ricevuto, ci ha dedicato tantissimo tempo, ma è pur sempre il Papa, ha una serie infinita di impegni – ricorda Samantha – e invece ci ha stupito ancora. Nei mesi successivi ci ha telefonato più volte. Chiamava o al mattino presto, verso le 6, o più spesso la sera, verso le 19. Ci chiedeva sempre di Ginevra e tante altre volte ci ha invitato a Roma da lui. Al Vaticano eravamo diventati di casa ormai. Le udienze di solito durano venti minuti, con noi restava ore. Coccolava Ginevra, pranzavamo o cenavamo insieme e ci diceva sempre. 'Voi siete il mio esempio e la mia forza. Tanti genitori nelle vostre condizioni spesso si vergognano dei figli, li tengono nascosti, invece voi siete orgogliosi di Ginevra. Voi siete esempio e testimonianza'. Ci faceva commuovere perché per noi lui era un esempio di forza, lui ci donava la speranza. Era come un nonno per noi, ci volevamo bene e ci faceva sentire a nostro agio. Io gli davo del 'tu', come mi aveva chiesto. Fabio invece non ci riusciva. Lo chiamava 'Sua Santità', ma lui non voleva e sorrideva ogni volta". Gli aneddoti Mentre parliamo, Fabio sale in camera per prendere lo scatolone con tutti i regali e la corrispondenza con il Papa. Mi mostra la prima cartolina che Francesco gli ha spedito, nella raccomandata, i rosari, le medagliette; le immagini di Santa Teresa, a cui Bergoglio era devoto. Mi mostra le foto insieme e sono veramente tante. Un album intero. Poi mi fa vedere i libri che Papa Francesco prendeva nel suo studio di Santa Marta e mi colpisce un testo con un titolo in piemontese e carta annerita dal tempo. È del 1924 infatti, leggo sul retro. Samantha nota la mia curiosità e mi spiega: "Eh, me lo ha regalato una sera, perché a lui piaceva parlare in piemontese, tutti i suoi parenti sono qui in Piemonte, ma io a volte non lo capivo. Così si è alzato ed è andato alla libreria. Ha preso questo libro di poesie in piemontese e me l’ha regalato: 'Così impari un po’ meglio la lingua!', mi ha detto sorridendo. Ma con lui si rideva sempre, non te lo immagini un Papa così. Era molto ironico, raccontava barzellette, prendeva in giro i luoghi comuni e faceva battute e scherzi. Quando è venuto in visita a Torino nel 2015, per l’Ostensione della Sindone, ci ha chiamati per organizzare il catering del pranzo con i suoi parenti, nella Diocesi. Mentre Fabio cucinava, Papa Francesco mi ha preso da parte e mi ha detto: 'Vogliamo fare uno scherzo?'. E io: ma che scherzo? Lui: 'Diciamo che mi sono sentito male per il cibo e che bisogna chiamare un’ambulanza!'. Era già divertito mentre lo raccontava. 'Non lo so - gli ho risposto - non mi sembra il caso'. E Fabio: 'Sua Santità, se mi vuole far chiudere, questo è il modo giusto!'. Papa Francesco non si è scomposto: 'Ma uno scherzo dura solo cinque minuti, dai!'. E così abbiamo fatto lo scherzo, con tutti i membri della Diocesi che sono diventati bianchi dalla paura…". La seconda malattia rara di Ginevra Nel 2019 a Ginevra è stata diagnosticata una seconda malattia rara. A Torino le avevano dato solo poche ore di vita, non c’erano più speranze. "Noi allora abbiamo contattato Papa Francesco, eravamo disperati", mi raccontano Fabio e Samantha. “Ho capito, non vi preoccupate” – ci ha risposto - "in pochissimo tempo ha organizzato il trasporto al Bambino Gesù di Roma. Ginevra era in fin di vita, ma i medici l’hanno curata e lei ce l’ha fatta, è un vero miracolo. Ogni volta che guardiamo nostra figlia noi vediamo Papa Francesco, perché sappiamo che senza di lui Ginevra ora non sarebbe qui. Siamo rimasti tre mesi in ospedale e lui ogni giorno ci faceva avere un suo messaggio. Ci telefonava o ci mandava qualcuno per chiederci come stessimo. Ogni giorno. Ci faceva arrivare i panini, ci chiedeva sempre se avessimo mangiato. Proprio come farebbe uno di famiglia. Era una persona incredibile. Sempre attento. Riusciva in un attimo a capire ciò di cui avevi bisogno e con Ginevra aveva un rapporto speciale. Quando andavamo nella sua stanza a Santa Marta, le offriva sempre i biscottini che le piacevano. Come un nonno. Li andava a prendere nella credenza. Lui viveva in questo monolocale di 30 metri quadrati. La prima volta che siamo andati lì ce l’ha fatto vedere: uno studio con il letto, la libreria e un piccolo soggiorno con un tavolo. Stanza 207. Tutto molto spartano e senza fronzoli. Lui poi pranzava sempre in refettorio con qualcuno. Noi gli portavamo il Grignolino, il suo vino preferito, perché arriva dall’Astigiano, la sua terra d’origine, e le paste di meliga che gli piacevano tanto". Le 60 casse di vino Fabio e Samantha mi raccontano un Papa che forse si poteva solo intuire. Ridono e piangono ricordando pezzi di vita di un’amicizia straordinaria. Decine di aneddoti. Un vero tesoro da custodire nella memoria. A un certo punto Samantha si alza, va in cucina e apre un cassetto scorrevole. "Queste sono le bottiglie di vino che ci ha regalato Papa Francesco. È un vino buonissimo, argentino. Ce le ha regalate per ricambiare il nostro grignolino. Ne abbiamo aperta qualcuna, ma queste le conservo". Allora Fabio mi racconta che una volta al telefono Papa Francesco gli aveva chiesto come fosse il vino che gli aveva mandato. "È buonissimo, Sua Santità, ma Samantha non me lo fa bere, conserva tutte le bottiglie!". E il Papa, di rimando: "Ma no, bevetelo, ve ne mando ancora, ne ho 60 casse ferme in dogana!". "Lui era così – mi dice Samantha – una persona straordinaria perché molto semplice e diretta. Anche da Papa è sempre rimasto il 'parroco di Buenos Aires', così si sentiva e così era, con tutti. Ci ha raccontato che nei primi mesi, dopo la sua elezione, di sera toglieva il vestito da papa e con quello nero che aveva sotto, da semplice prete, andava a portare cibo e bevande ai senzatetto di Roma. Poi la sicurezza del Vaticano non glielo ha più permesso". “Per fare il Papa bisogna essere un po’ pazzi” Ginevra è al piano di sopra, riposa, Samantha e Fabio mi offrono il caffè, è tempo di congedarsi, anche se starei ore ad ascoltarli. Faccio un’ultima domanda, dopo tutti questi racconti: che cosa avete davvero capito di Papa Francesco durante quest’amicizia? Si guardano, non hanno dubbi: "Lui voleva vivere tra la gente, dalla gente prendeva la sua energia. E tra la gente se n’è andato, con quel suo ultimo giro tra le strade di Roma, a Pasqua. Nessuno avrebbe potuto impedirglielo, anche se stava male. Era un po’ testone. Gli dicevamo sempre di non sforzarsi troppo, di riguardarsi, di non fare pazzie, ma lui era così. 'Per fare il papa bisogna essere un po’ pazzi', ci rispondeva sorridendo. Era un Papa diverso dagli altri, era speciale. Arrivava al cuore delle persone perché avrebbe potuto avere tutto e invece viveva con niente. L’esempio, non le parole, è l’insegnamento più grande".

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