Sardegna, emergenza denatalità: un’isola senza bambini

Negli anni ‘50 in Sardegna le famiglie come quella del calciatore Pietro Paolo Virdis, classe 1957, non erano rare. Quattro ragazzini, tra fratelli e sorelle come nella casa di un giovane che partendo da Sindia, provincia di Nuoro, sarebbe diventato attaccante di Cagliari, Juventus e Milan, rappresentavano quasi la media. In un’epoca in cui la popolazione italiana cresceva velocemente, l’isola deteneva infatti la palma della natalità del Belpaese: 3,8 figli per donna nel 1952 dicono i dati Istat. VIAGGIO AL CENTRO DELLA CRISI DEMOGRAFICA Prima Tappa: Corea del Sud Oggi, quando lo Stivale si trova in una crisi demografica ormai decennale, la Sardegna si distingue per il primato opposto: è la regione italiana in cui si mettono al mondo meno bambini. Il tasso di fecondità è sceso a 0,91, quattro volte meno rispetto a 80 anni fa, un dato che la rende uno tre territori europei dove l’indicatore è calato fin sotto la soglia simbolica dell’unità. Ricordiamo che, secondo chi studia queste dinamiche, il livello necessario perché una popolazione si mantenga stabile senza bisogno dell’apporto dell’immgrazione è 2,1, e qui siamo a meno della metà. Anche se in otto decenni anni molte cose possono certamente cambiare, la traiettoria seguita dalla Sardegna, da culla della fertilità a punta più avanzata del declino demografico tricolore ed europeo, è troppo ripida per non raccontare qualcosa a chi si occupa del tema. “Se ci immaginiamo una staffetta, il momento che stiamo vivendo in Sardegna equivale a una generazione che corre ma non trova quella successiva a cui passare il testimone. Si crea un vuoto”, commenta Luisa Salaris, professoressa di demografia all’Università di Cagliari. La generazione che manca I numeri danno sostanza alla metafora del ricambio che non c’è. Nel 2023, secondo Istat, in Sardegna sono nati 7.242 bambini, nel 2003 erano stati 13.571, un calo del 46,6% in 20 anni. Che cosa è accaduto? E’ un misto di quanto sta succedendo nella maggioranza delle economie avanzate, dove il benessere e una diversa coscienza del ruolo sociale delle donne ha condotto a posticipare la maternità e alla diminuzione delle nascite, a tratti più particolarmente sardi. Uno di questi - fanno notare gli studiosi - chiama in causa gli immigrati, più precisamente la loro assenza. La percentuale di stranieri sull’isola è infatti la più esigua dello Stivale, appena il 3%, poco più di un terzo rispetto alla media italiana. “Le famiglie di immigrati hanno generalmente una fecondità più elevata e visto che in Sardegna sono pochi, questo dato gioca sicuramente un ruolo sulle statistiche della natalità”, spiega Salaris. Alla Sardegna non mancano dunque all’appello solo i figli degli autoctoni, mancano anche e forse soprattutto quelli di chi viene da fuori che finisce per incidere sulla dimensione del nucleo familiare. “La grande trasformazione a cui stiamo assistendo non sta nel fatto che ci sono donne che, per vari motivi, non fanno figli ma che chi decide di farli si accontenta di uno: un solo bambino soddisfa il bisogno di genitorialità, è scomparso il modello della famiglia numerosa”. Le conseguenze sulla struttura della popolazione sono evidenti anche sul breve periodo tanta è la velocità del processo in corso. Nel 2019, gli under 14 residenti in Sardegna erano, secondo Istat, 181.264. Nel 2024 sono 158.205, il 13% in meno. Vuol dire che nel giro di sei anni sono diminuiti di oltre 26mila unità. In un lustro si è persa una fetta di bambini e ragazzini equivalente alla popolazione del comune di Carbonia. Non stupisce che nel 2023 la Sardegna risultasse la seconda regione Ue con la quota più bassa di popolazione tra 0 e 14 anni: 10,5%. Nella top 10 delle province con meno under 14 si piazzavano Oristano e Sud Sardegna e tutto lascia pensare che saranno presto raggiunte dalla provincia di Cagliari visto che è quella con il tasso di fecondità più basso nella regione: 0,85. Classi vuote In gioco c’è il futuro ma anche il presente. Perché l’impatto di una società con pochi bambini e giovani sempre più in minoranza si fa già sentire. Basta entrare in una scuola sarda dove tra i banchi delle elementari il calo si rivela con maggiore chiarezza che negli altri ordini di istruzione. Secondo i dati dell’Ufficio scolastico regionale della Sardegna, gli iscritti alle primarie statali sono passati da 64.485 nell’anno scolastico 2014-15 a 50.582 nel 2024-25, una discesa del 21,5% in un decennio. E’ come se, in media, ogni classe con 20 alunni fosse passata a 16. Il problema della diminuzione degli scolari si avverte maggiormente nelle aree interne, esposte al calo delle nascite e ad un processo di spopolamento su cui agiscono soprattutto cause economiche. Anche per venire incontro ai bisogni di questi territori la Sardegna deroga ai limiti minimi nazionali. “Ora possiamo formare classi anche con un numero inferiore di alunni. In alcuni territori non urbani è l’unico modo per mantenere l’erogazione del servizio scolastico, che altrimenti sparirebbe”, spiega Francesco Feliziani, Direttore Generale dell'ufficio Scolastico Regionale per la Sardegna. E’ qualcosa ma non basta: evitare di chiudere una scuola significa consentire ai bambini e alle famiglie di continuare a istruirsi nei pressi della residenza ma non influisce sulle nascite. “Per arrestare o invertire la tendenza sarebbero necessarie politiche di più ampio respiro, che vanno oltre l’ambito scolastico e chiamano in causa l’economia e il lavoro: l’istruzione è solo l’ultimo anello di una catena più lunga”, aggiunge. La Sardegna, in quanto regione a statuto speciale, avrebbe una libertà di azione più ampia per provare ad affrontare il problema. La provincia autonoma di Bolzano, con il tasso di fertilità più alto del Paese , è un esempio virtuoso che però non sembra trovare seguaci sull’isola, almeno a giudizio di osservatori esterni. “Ci sarebbe la possibilità di sperimentare politiche coraggiose di sostegno alla natalità ma in Sardegna non è ancora stato fatto. Il problema è che le politiche demografiche, che richiedono tempi lunghi, non si allineano con le scadenze elettorali e non è un problema solo della nostra regione. Le misure proposte nel nostro Paese sono spesso limitate e transitorie, non danno abbastanza certezze per il futuro a chi vuole programmare una famiglia”, commenta Salaris.

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