A che punto sono gli invasi in Sicilia?

La Sicilia dell’emergenza idrica sembra essere divisa in due. Con la parte occidentale in grande sofferenza per i bacini che non si riempiono nonostante le piogge, e quella orientale che accumula e che può contare sulla nave che si è accumulata e si sta accumulando sulle montagne. È questa una fotografia che si potrebbe scattare da un satellite. Gli invasi, infatti, raccontano questa. L’indicatore principale potrebbe essere quello della diga Ancipa che si trova nel territorio di Troina in provincia di Enna e che ricade nella parte orientale della Sicilia. Secondo i dati raccolti dal dipartimento regionale per l’approvvigionamento idrico a dicembre l’invaso conteneva poco meno di duecento mila litri d’acqua. La pioggia caduta abbonante nelle ultime 5 settimane ha fatto quasi un miracolo portando il livello dell’acqua a sfiorare gli otto milioni di metri cubi destinati ad aumentare con lo scioglimento della neve sui Nebrodi che circondano il bacino. Una manna per i comuni che si riforniscono in maniera esclusiva dalla diga Ancipa e che adesso, almeno per il momento, possono tirare un sospiro di sollievo. La diga, che può contenere come massima capienza oltre trenta milioni di metri cubi d’acqua, è sempre in sofferenza ma rispetto a qualche mese fa la situazione è decisamente cambiata in meglio. Stesso discorso per gli invasi della zona del catanese che possono contare anche sulla neve che si accumula sull’Etna e che poi riempirà gli invasi. La situazione è diversa sul fronte occidentale. L’invaso del Fanaco che si trova a Castronovo di Sicilia, al confine tra Palermo ed Agrigento, è in sofferenza massima. Nel dicembre del 2024 ha raggiunto quota zero, solo pozzanghere di fatto. Adesso, dopo le ultime piogge, ha raggiunto i 380 mila litri. Nulla rispetto ai 20 milioni che potrebbe contenere. Crescono, di pogo, gli invasi Poma e Garcia che raggiungono rispettivamente i 17 e i 10 milioni di metri cubi d’acqua. Ma deve continuare a piovere altrimenti anche queste scorte rischiano di esaurirsi presto. Il modello meteorologico per la Sicilia annuncia altre precipitazioni ma, dicono dalla Protezione Civile regionale, non è detto che venga tutto confermato nel lungo periodo e, soprattutto, il problema è che spesso non piove nelle zone degli invasi o dei fiumi che li alimentano. Ma questo è purtroppo imprevedibile. A cercare di dare sollievo alla crisi persistente gli scavi per i nuovi pozzi che vengono collegati in breve tempo alla rete idrica. Ma il sottosuolo di molte zone, come ad esempio nell’agrigentino, è ricco di acque che però risultano inutilizzabili. Troppo compromesse dalla presenza di sostanze che non ne consentono l’utilizzo e che difficilmente possono essere depurate anche per il solo uso irriguo. Un contributo fondamentale per cercare di risolvere una emergenza che ormai è cronica e che in futuro potrebbe purtroppo rappresentare la normalità, può arrivare dai dissalatori. In Sicilia ce ne sono tre. Uno a Porto Empedocle , uno a gela ed il terzo a Trapani. Tutti e tre sono stati spenti e, do fatto, abbandonato dieci anni fa. Adesso servono più che mai. Per questa ragione, grazie al patto di coesione territoriale, il governo nazionale ha stanziato 90 milioni di euro per il loro ripristino. Ma ci vorrà del tempo prima che possano rientrare in funzione. La soluzione tampone è rappresentata dai dissalatori a modulo mobile. La regione siciliana ha stanziato ulteriori 20 milioni di euro per il loro acquisto e la messa in funzione è prevista per il mese di giugno 2025. Poi saranno integrati a quelli fissi. Ma la Sicilia, si sa, è la terra dei paradossi. In una regione dove l’acqua manca da sempre, viene anche buttata via. Succede nel trapanese e, per la precisione, nel territorio di Castelvetrano. Negli anni 70 venne costruita la diga Trinità. Una diga mai collaudata ufficialmente e che adesso il ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha bollato come inagibile per il rischio crollo. La diga, che ha sempre raccolto acque per l’uso irriguo, può contenere pochi milioni di metri cubi d’acqua. E quella che si è accumulato in più in queste settimane viene riversata in mare. Con buona pace dell’emergenza. La Sicilia dell’emergenza idrica è divisa in due. Con la parte occidentale che nonostante le piogge abbondanti dei mesi scorsi rimane con le dighe quasi vuote e quella orientale dove invece gli invasi si sono riempiti in maniera più consistente grazie anche agli accumuli nevosi sui monti Nebrodi e Peloritani. Per capire meglio di cosa stiamo parlando basta guardare la capienza massima degli invasi e la quantità d’acqua che si è accumulata dal dicembre del 2024 al gennaio del 2025. I volumi sono aumentati considerevolmente negli invasi della Sicilia centro orientale. Basta guardare i numeri della Diga Ancipa nel territorio di Troina che si era praticamente esaurita e che invece nel giro di poche settimane è tornata su livelli sempre emergenziali ma decisamente migliori. Gli invasi della Sicilia occidentale sono rimasti invece sempre sottosoglia rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e, nonostante i rovesci consistenti delle ultime settimane. Rispetto al mese precedente, alcuni sono addirittura diminuiti di volume. Ha piovuto, sì, ma spesso non nelle zone degli invasi o dei corsi d’acqua che li alimentano. Il modello meteorologico per le prossime settimane parla di precipitazioni ma la certezza non c’è. Intanto si va avanti cercando fonti di approvvigionamento alternative come i pozzi che vengono scavati e collegati alla rete idriga di mezza Sicilia. Poi ci sono i dissalatori. Il governo nazionale, attraverso il patto di coesione, ha stanziato 90 milioni per rimettere in funzione i tre impianti fermi da anni: quelli di Porto Empedocle, Gela e Trapani. I lavori saranno lunghi ma, grazie a 20 milioni messi a disposizione dal bilancio regionale, verranno acquistati e messi in funzione entro giugno tre dissalatori mobili che verranno poi integrati negli impianti che saranno ripristinati. Ma la Sicilia è anche la terra del paradosso. L’acqua manca e quella poca che c’è viene buttata via. Succede nel trapanese dove la diga Trinità sversa in mare milioni di metri cubi. È stata dichiarata inagibile e per questo può contenere poca acqua. L’eccesso va buttato via. Adesso regione e protezione civile stanno cercando di correre ai ripari con progetti ed interventi strutturali.

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