Disabilità, Valentina Tomirotti: "Nel mio corpo sto benissimo. Ma certi sguardi feriscono"

Basta un gradino. Per rovinare una giornata, cancellare un evento, far saltare un appuntamento di lavoro. I muri che incontrano le persone con disabilità, anche in città “evolute” come Milano, sono ancora troppi, e troppo alti. Lo ha dimostrato recentemente la storia di Valentina Tomirotti - giornalista, blogger e attivista che fa divulgazione sui temi della disabilità e accessibilità – che lo scorso 16 novembre avrebbe dovuto moderare la presentazione del nuovo libro di Fabrizio Acanfora, prevista tra gli eventi di BookCity Milano, ma non ha potuto nemmeno entrare nella sede della manifestazione. “Una volta arrivata all’ingresso, mi sono trovata davanti una rampa di scale”, racconta a Sky TG24 Insider. “Di cui non solo nessuno mi aveva avvisata, ma mi sono anche sentita dire da chi lavorava nell’organizzazione 'Eh, ma dovevi controllare tu'". E non è stato trovato un modo per porre rimedio alla gravità di quanto successo: “La presentazione non è stata fatta. È saltata anche perché, e li ringrazio, sia l’autore che la collega Irene Facheris che dovevano essere in sala con me hanno preso una posizione netta: 'Se non entri tu non entra nessuno'. E non è scontato”. Ci sono ancora rabbia e frustrazione nelle parole di Tomirotti, che da 42 anni convive con la displasia diastrofica. Testimone attiva della community che sui social racconta il mondo della disabilità, lo fa da sempre in modo schietto e tono mai retorico: "Eravamo lì per lavoro, e io mi sono sentita una merda. Gli organizzatori mi hanno fatto sentire così. Perché per loro ero io il problema". Oggi è la Giornata Internazionale per le persone con Disabilità. Inutile chiederti a che punto siamo? Purtroppo indietro. Perché se non rispondi a un’immagine standardizzata, le persone hanno aspettative ulteriori nei tuoi confronti in termini risoluzione del problema: come se se ne dovesse occupare la persona con diabilità e non la società. E questo ha peso un nome, si chiama minority stress. Cosa significa? Che sono io, persona con disabilità, a dover spendere tempo, vita ed energie per trovare una soluzione in un mondo che non mi percepisce. Ti erano mai accaduti episodi simili a quello di BookCity? Sì, ma mai così gravi. In quell'occasione sono stata proprio male. Tra l’altro era il giorno del compleanno. Io vivo a Pavia, ho pensato: vado a festeggiarlo a Milano con due amici. Invece ho fatto un viaggio a vuoto, era meglio restare a casa. C’è una parola, “abilismo”, che ricorre spesso nei contenuti di voi attiviste e attivisti del mondo della disabilità. Cosa significa? É una forma di violenza non ancora riconosciuta, non percepita. E riguarda la considerazione dei corpi performanti nel rispetto delle abilità. Chiunque esca da questo circuito non è "normale", quindi inferiore. Un esempio? Capita che quando mi trovo davanti a un gradino, una persona che pensa di aiutarmi mi proponga: “Ti sollevo io”. Questo è abilismo. Quella frase, anche se con una buona intenzione, vuol dire: “Io posso, sono abile, tu dipendi da me”. Senza pensare però alle conseguenze. Intanto serve il consenso, e poi c’è un tema di responsabilità. Cosa rispondi di solito? Io dico “no grazie”. E loro rispondono, risentiti: “Volevo solo aiutarti”. Parliamo di linguaggio: è corretto dire “persona con disabilità” e non “persona disabile”? Esatto. Io prediligo la lettura “person first”, quindi persona al centro. Ovvero: sono una persona con disabilità, non sono la mia disabilità. Invece l’approccio “identity first” mette al centro la “persona disabile”, dove l’identità è un accessorio. Quando si parla in modo scorretto di disabilità? Quando nel discorso si fa leva sulle abilità, sulla normalità. Per esempio: non è corretto parlare di persone “normodotate”, perché è un modo per insistere sulla differenza. "Carrozzina" o "sedia a rotelle"? Io preferisco senza dubbio “carrozzina”. Sedia a rotelle non mi piace, mi fa pensare a qualcosa di posticcio. Ci racconti alcune delle barriere che incontri quotidianamente? Per esempio trovare una porta con la molla per me è un problema: non riesco ad aprirla perché ho le mani sulla carrozzina. Oppure fare benzina: ho la patente ma non posso farla da sola. E poi ci sono i mezzi di trasporto. Io non posso decidere che oggi ho voglia di andare a fare un giro, e prendere un treno: devo prenotarlo almeno 48 ore prima perché sia accessibile. Anche prendere un autobus può essere un problema: magari hanno la rampa, ma la pensilina da cui devo partire ha invece uno scalino. E in quel caso che si fa? Non si prende l’autobus, non c’è un’alternativa. Tutto questo causa molta rabbia in me. Le istituzioni mi fanno rabbia. Il 25 Novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, la ministra per le Disabilità Locatelli ha detto che la violenza ai danni delle donne con disabilità "è un fenomeno molto subdolo e nascosto". Purtroppo questo non viene percepito come un problema perché non viene considerata o percepita la persona in quanto donna. Come se le donne con disabilità fossero asessuate. Vorrei chiedere alla ministra: cosa sta facendo per noi? Penso che dovrebbe entrare nel merito di come mai 8 centri antiviolenza su 10 non siano accessibili o non contemplino la disabilità Anche il personale non è formato, è standardizzato. Per non parlare di quante vittime di violenza con disabilità non vengono credute. È un tema che va affrontato. E credo che il ministero dovrebbe fare molto di più. Sei nata e cresciuta per 42 anni insieme alla tua disabilità. Che rapporto hai con lei? Non conosco una vita diversa da questa, e onestamente sto bene così. Non ho mai provato rabbia per quello che mi è successo, né mi sono mai chiesta “perché a me?”. Non essermi confrontata con la vita senza mi ha permesso di accettarla fin da subito. Io non ho mai avuto un rapporto conflittuale con la mia disabilità, come non ho mai vissuto episodi di bullismo. Non per forza succede. Disabilità e sessualità, se ne parla ancora poco? Oggi di più, ma in un modo non ancora corretto. Se io in una conferenza prendessi il microfono e dicessi “sessualità e disabilità” tutti penserebbero immediatamente all’assistenza sessuale. Non è così. Anche le donne con disabilità hanno una sessualità, e il diritto ad averla. Questo è un tema che fa ancora paura perché non si conosce. Che rapporto hai con il tuo corpo? Assolutamente perfetto. Sto bene con me stessa e sto bene nel mio corpo. Sembra strano, ma non me ne frega niente. Patisco invece la gente che mi guarda. Ho un corpo non convenzionale, e molte persone si inchiodano addosso a me con degli sguardi inquisitori. Questo sì, genera in me ancora molto disagio. Che tipo di sguardo vedi in loro? Di non comprensione: percepisco che vogliono capire, che magari per loro non dovrei nemmeno uscire. Per esempio, quando mi vedono guidare si inchiodano a fissarmi come se fossi E.T. Un ultimo mito da sfatare? Le persone con disabilità hanno tutte un contenuto. Invece per molti continuiamo a essere solo un’immagine.

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