In Italia, i malati di fibrosi cistica sono 6.000. È la malattia genetica grave più diffusa nel nostro Paese: l'aspettativa di vita si aggira intorno ai 40 anni e, ad oggi, non esistono cure. Alessandro Gattafoni, con le sue traversate, raccoglie fondi per la Lega italiana fibrosi cistica. A cura di Andrea Ceredani
Alessandro Gattafoni è un atleta professionista. Per anni ha calcato i campi da calcio ed è salito sui ring di pugilato, collezionando vittorie e soddisfazioni. Ma è dopo aver appeso gli scarpini e i guantoni al chiodo, all’età di 35 anni, che ha cominciato il capitolo più importante della sua carriera sportiva. Quello che lo ha portato, a bordo di un kayak, ad attraversare l’Adriatico fino alla Croazia e il Tirreno dalla Corsica alla Toscana. A fine giugno, tenterà di battere il record del maggior numero di chilometri percorsi a bordo di un kayak in sole 24 ore. E lo farà affrontando artrite, diabete secondario, disidratazione e affanno respiratorio. Perché Alessandro Gattafoni, atleta professionista, è uno dei 6.000 malati italiani di fibrosi cistica.
Aspettative di vita
A scoprire la fibrosi cistica di Alessandro, all’età di soli quattro mesi, sono stati i suoi genitori. “Se non l’avessero diagnosticata in tempo – racconta – non avrei superato il quinto mese di età”. La patologia, di origine genetica, si era velocemente aggravata e lo avrebbe condotto alla morte. Dopo l'intervento dei medici, le sue aspettative di vita si sono alzate. Ma non di molto. “Questa malattia non concede il lusso di una vecchiaia – spiega Gattafoni – e all’epoca non si superavano i 12 anni”. Ancora oggi, del resto, non esiste una cura per i malati di fibrosi cistica. La patologia, che stimola la produzione di un muco denso in grado di ostruire ogni dotto corporeo, costringe alla continua perdita di sali, alla riduzione della pressione sanguigna e a gravi deficit respiratori. Che, nel tempo, conducono alla morte. Raggiunta oggi in media all’età di 40 anni.
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Malato di nascosto
“Fin da piccolo sono stato visto in maniera diversa dagli altri: tutti tendevano all’iperprotezione”. È per fuggire da quella campana di vetro che Alessandro, ormai adolescente, tentava di nascondere la sua fibrosi cistica. “Era una questione etica e morale”, spiega. L’obiettivo? Lasciare il segno nello sport bruciando le tappe, perché le sue chance non erano le stesse degli altri. “Sapevo che il mio limite massimo erano i trenta anni”, confessa. Ma, superato anche quel fatidico compleanno, per Alessandro guardare al futuro è diventato sempre più difficile. A permettergli nuovi progetti, è stata prima la nascita del figlio – di nome Giona, “come il Giona che visse nella balena” – poi l’arrivo del kayak e la vita in mare. Che è diventato il suo migliore alleato, perché “lui non guarda in faccia a nessuno e non fa sconti se sei malato”.
Una difficile eredità
A bordo del kayak, la mentalità di Alessandro non è cambiata: voleva sempre lasciare il segno. E farlo subito. Così, nel 2021, ha attraversato l’Adriatico in barca, partendo dalla sua Civitanova Marche e raggiungendo Veli Rat, in Croazia. Poi, è stata la volta del Tirreno: Bastia, in Corsica, sosta all’isola d’Elba e traguardo a Punta Ala, in provincia di Grosseto. Centinaia di curiosi hanno iniziato a puntare gli occhi sulle sue imprese, chiamate "125 miglia per un respiro", ma nella testa dell’atleta c’era un solo spettatore: “Ho fatto tutto per affidare un’eredità a mio figlio – spiega – che non potrò veder crescere. Voglio mostrargli che, se io posso attraversare il mare senza mai essere salito prima a bordo di un kayak, allora è davvero tutto possibile nella vita”.
Lega italiana fibrosi cistica
Oggi Alessandro si sta allenando ogni giorno per battere il record di chilometri percorsi in kayak in 24 ore. Lo sta facendo nel suo Adriatico. E, come nelle sue precedenti traversate, sta raccogliendo fondi per la Lega italiana fibrosi cistica che, ogni anno, aiuta i 6.000 malati italiani a ottenere farmaci e macchinari, costosi ma necessari, che il Servizio sanitario nazionale non è sempre in grado di garantire. Sono, perlopiù, enzimi pancreatici – richiesti anche dagli affetti da pancreatite o dai malati di tumore al pancreas – spesso carenti nel mercato farmacologico italiano (e non solo). Ma sono anche macchinari per individuare con certezza, dalle analisi del sudore, i portatori sani di fibrosi cistica. Coloro, cioè, che, pur non mostrando sintomi, trasmettono comunque la malattia ai propri figli.