Una scuola con mille domande nel giorno della dottoressa Giulia

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

Togliere il velo, cercare di dare un nome alle cose, fare domande ai ragazzi, alla scuola stessa invece di inondarli di giudizi e di risposte, spesso a sproposito, sarebbe l’inizio di un percorso virtuoso

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“Caro Domenico, ho proposto ai miei studenti di quinto anno di individuare almeno un modo di dire o un'affermazione di loro conoscenza, che esprimesse giudizi negativi sull'identità femminile. Volevo capire quali sono le loro opinioni, cosa possa averle impregnate, come possono essersi costruite. 

Il compito era aperto, ossia potevano cercare sia nella tradizione, per esempio nei proverbi, che nell'attualità, compresi i testi di canzoni. Quindi esprimere un commento oppure tentare un’interpretazione.

Una parte degli studenti mi aveva chiesto se potessero commentare testi molto volgari di canzoni di oggi. Ho risposto di sì perché secondo me la scuola deve essere un luogo critico. In questo momento, tuttavia, leggendo i testi, mi accorgo che sono di una violenza inaudita, non immaginavo, e sentivo il bisogno di parlarne con qualcuno di cui mi fido. Non sono pentito della proposta, spero anzi di potere aprire un dibattito serio coi ragazzi, di trasformare questo passaggio in un’opportunità”.

Con incredibile sincronismo, questo piccolo testo mi arriva proprio nei minuti in cui a Padova viene conferita la laurea postuma alla povera Giulia Cecchettin.

La scuola

Un evento che seguo con apprensione, perché quella ferita è ancora aperta, e con nostalgia, perché in quell’università mi sono laureato anche io, quando i genitori di Giulia erano dei bambini. Me la sono immaginata per le stesse strade che percorrevo allora, in una città ricca di storia, di arte, di cultura, di bellezza, magari seduta in Prato della Valle a studiare con le sue amiche. 

Vita familiare, non un’astrazione, è questo che se n’è andato con lei.

La comunicazione con cui si apre questa riflessione arriva da un professore che ama il proprio lavoro, i suoi studenti frequentano l’ultimo anno del liceo scientifico. Poco importa il luogo, un punto qualsiasi in Italia, ma importa eccome ciò che c’è scritto, perché in qualche modo si lega la morte di Giulia. 

Ancora una volta, come avevo scritto la settimana scorsa a proposito di violenza degli stadi e di bullismo, il luogo è solo il teatro della manifestazione, non certo l’origine, semmai in questo caso la scuola si è presa sulle spalle, come spesso le accade, un compito che spetterebbe anche ad altri, che però si guardano bene dall’assumerselo.

Togliere il velo, cercare di dare un nome alle cose, fare domande ai ragazzi, alla scuola stessa invece di inondarli di giudizi e di risposte, spesso a sproposito, sarebbe l’inizio di un percorso virtuoso. Quell’insegnante ci prova.

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Smettere di bullizzare la scuola

Nei giorni scorsi sono stato a Torino, ospite di un convegno in cui si parlava di orientamento scolastico, come accade in questi casi, le persone di scuola presenti erano quelle più interessate, risorse enormi a cui dovremmo chiedere lumi invece di ostinarci a fare loro da maestrini. Tra il pubblico una donna anziana, minuta, dai capelli candidi. Si è presentata dopo il mio intervento e abbiamo fatto due chiacchiere. Toccanti. Era la vedova di Bruno Ciari, il grande pedagogista e partigiano morto nel 1970. Mi sentivo in soggezione: lei era lì per imparare, a novant’anni. Sapeva benissimo che i bambini, i ragazzi, la famiglia, la scuola sono come corpi celesti, sempre in viaggio, e quando crediamo di averli inquadrati nei nostri cannocchiali, loro sono già da un’altra parte.  

Dovremmo smetterla di bullizzare i genitori, i ragazzi e, non ultima, la scuola. Sarebbe meglio, se ne abbiamo la voglia e la capacità, affiancarla, accompagnarla, studiarla, aiutarla con idee e azioni oggi inesistenti, perché sono troppo pochi coloro che, come quella carissima signora, così minuta, capiscono che su quei cespiti è impossibile imparare una volta per tutte.  

Non è facile aiutare la scuola, certo, perché popolata di individualità incomparabili, portatrici di attese e disagi di cui spesso neppure i diretti interessati conoscono la causa, circostanza che non diminuisce certo l’angoscia ma, se possibile, la moltiplica, perché ciò che ci tormenta diventa un macigno quando ne ignoriamo l’origine.

Per quanto scomoda e urticante, quell’azione che coinvolge i liceali e il loro insegnante si è svolta in una classe, ossia a scuola, e quel professore si è preso la briga di porre delle domande, invece di rispondere a nome degli studenti. 

I giudizi arrivati, per quanto “forti”, comunque sia sono preziose lettere dal fronte, non ipotesi e sentito dire. 

C’è un mondo intorno alla scuola che non riesce a farsi una ragione della sua complessità, che si lascia irritare dalla sua inafferrabile natura dinamica, perché la confonde con un edificio e conserva nella mente immagini deamicisiane, datate, assai anteriori alle rivoluzioni tecnologiche e, dunque, antropologiche, che sconvolgono, abbagliano e, non di rado, disorientano da decenni mondi interiori già incerti per anagrafe, che vorrebbero capire in che direzione ci stiamo muovendo.  

In mancanza di risposte, ma soprattutto di domande (è difficile porre delle buone domande) i grandi si accaniscono contro tutto ciò che si muove nel mondo giovanile, compresa la scuola. Poi arriva qualcuno che, travolto dalle proprie incertezze, uccide la propria ex fidanzatina e tutti cadiamo dal pero.

Girl in a blue denim shirt sitting in a cafe makes notes in a notepad with a pen. A sheets with emotions schedule, adhesive tape, felt-tip pens are on the table. Close up

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Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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