Emanuela, manager nel settore digitale e figlia dell’ex dirigente della Roma, Giorgio Perinetti, è morta di anoressia a fine novembre all'età di 33 anni. Non aveva accettato il ricovero in una struttura pubblica. Ecco l'intervista alla sorella Chiara, dopo l’annuncio del taglio dei fondi del governo ai centri che curano i disturbi alimentari
Emanuela Perinetti "non voleva morire". A dirlo la sorella Chiara che, ai microfoni di Sky TG24, ripercorre il calvario vissuto dalla sorella, manager di successo che soffriva di anoressia, morta a 33 anni. "La sua intenzione - dice Chiara - non era quella di morire, ovviamente. I messaggi che ho letto con più piacere sono quelli di persone, magari che come Emanuela fino a quel punto erano state convinte del fatto che potevano farcela da sole". "L'appello che faccio io - aggiunge - è che quando invece si tratta di persone maggiorenni, trovare un aiuto non è così facile e forse servirebbero più strumenti". (Sky Tg24 nel centro disturbi alimentari del San Raffaele).
"Il disagio che viveva è diventato una condizione di salute molto preoccupante"
"Emanuela - racconta ancora Chiara - è sempre stata una persona che aveva avuto delle forme di controllo sul cibo. Però mai in un modo preoccupante. Negli ultimi due mesi, mia sorella ha cominciato a dimagrire molto velocemente. Abbiamo tentato di aiutarla, soprattutto a rendersi conto che ormai quel disagio che lei viveva non era più un disagio, ma una condizione di salute molto preoccupante". Una situazione che "in un paio di mesi è precipitata a tal punto da essere una situazione limite da un punto di vista non solo di magrezza, perché appunto le è stata diagnosticata questa anoressia nervosa, ma da un punto di vista anche internistico, che poi è il motivo per cui lei è stata ricoverata alla fine". Un ricovero arrivato "dopo aver rifiutato invece un primo ricovero che doveva essere fatto in una struttura pubblica atta a prendersi cura del disturbo alimentare". "Credo - continua Chiara - che lei non l'abbia accettato per due motivi. Uno perché se è vero che questa condizione nasceva da una solitudine, da una necessità di essere vista, il ricovero potesse in qualche modo rappresentare un ulteriore isolamento, e credo anche per il fatto che mia sorella tendeva a proteggere molto se stessa e le persone intorno".